Il Consorzio di tutela della Burrata di Andria Igp si appresta a spendere oltre 438mila euro per un progetto. Un progetto in fin dei conti semplice, che ha l’obiettivo di rendere vendibile il prodotto in Continenti assai lontani dal nostro: l’Asia, l’Oceania e le Americhe.
Per fare ciò, il famoso latticino, che di pugliese ha il nome e l’area di produzione, ma non necessariamente l’origine del latte e della panna (che possono arrivare da altre zone d’Italia ma anche dall’estero), punterà ad avere una shelfilife maggiore di quella attuale.
L’operazione, denominata semplicemente “Burrata”, ruota attorno ad un progetto che ha ottenuto il finanziato dalla misura 16.2 del Psr Puglia, che nasce nell’ambito delle attività definite di “valorizzazione” e che si concretizza nel supporto tecnico-scientifico garantito dalle Università di Foggia e di Bari, e dal coinvolgimento di importanti “attori” industriali della filiera lattiero-casearia pugliese.
L’attuale periodo di vita utile è tipico di un latticino fresco legato alla produzione quotidiana per uso locale, e già attualmente supera la shelflife di prodotti di pari classe merceologica (Mozzarella di Bufala Campana Dop), aggirandosi attorno ai 10-12 giorni. Ma per sfondare nell’export a lungo raggio “rappresenta”, lo dichiarano gli interessati in un comunicato stampa, “un limite alle potenzialità di crescita della Burrata”.
“Il progetto Burrata”, prosegue il comunicato, “ha come obiettivo l’aumento della shelf-life del prodotto, nel rispetto del disciplinare di produzione (disciplinare alquanto “elastico”, come per tutti gli Igp), “mantenendone inalterate le caratteristiche microbiologiche ed organolettiche (che sono solo una parte di ciò che un prodotto tipico esprime, ndr) al fine di consentire alle imprese produttrici di poter approcciare più facilmente nuovi e più lontani mercati”.
Mercati che, prosegue la nota stampa, “già oggi vedono la presenza di imprese straniere o multinazionali che sfruttando in maniera impropria il termine “burrata” immettono sul mercato prodotti di imitazione che nulla hanno a che fare con la vera Burrata”.
“Una shelf-life più lunga”, quindi, spiegano gli interessati, “che si tradurrà in una maggiore redditività per le imprese di produzione, grazie al posizionamento in nuovi mercati e relativo aumento dei volumi di vendita, con un trasferimento di valore su tutta la filiera, considerata la necessaria maggior richiesta di materia prima” (come se il più delle volte il latte non fosse acquistato altrove, ndr).
All’interno del progetto, il consorzio di tutela svolgerà – in qualità di capofila – la funzione di coordinamento, facilitando il trasferimento di conoscenze alle aziende partner e “diventando”, si legge ancora nella nota stampa, “referente per tutte le aziende del territorio che vorranno implementare i risultati ottenuti con il suddetto progetto”.
“Il consorzio”, spiegano all’ente di tutela, “si è già fatto promotore della costituzione del Distretto Lattiero-Caseario Pugliese, con l’obiettivo di costruire, insieme alla Regione Puglia e agli attori regionali della filiera, il futuro del settore”.
Infine, i responsabili del progetto informano che “l’eventuale impiego di additivi di supporto prevede esclusivamente l’uso di sostanze naturali, con tecnologie innovative che verranno introdotte dopo aver studiato il processo attualmente utilizzato”.
E i consumatori?
Un progetto convincente? Anche no, soprattutto per le parole non dette a proposito dei consumatori, siano essi giapponesi o italiani. Il prolungamento della shelflife, checché vorranno dire il consorzio e le due eccellenti università coinvolte, non potrà che togliere qualcosa al prodotto.
Se è vero, com’è vero, che nei primi cinque giorni il prodotto è più buono – e palesemente più fresco – che nei secondi cinque, cosa accadrà negli ulteriori cinque, o sei, o più giorni che si aggiungeranno? Quando la curva della sua freschezza sarà in fase discendente, sarà forse meglio utilizzarla in cucina? Verosimilmente sì.
Probabilmente la Burrata di Andria del futuro sarà solo in taluni casi a latte crudo (anche oggi molti la producono pastorizzando il latte), la struttura della pasta (il “sacchetto” che contiene sfilacci e panna) sarà più consistente e forse più sottile, e la temperatura di conservazione scenderà di qualche grado.
Tutte trasformazioni che se da un lato porteranno il prodotto in Continenti remoti, dall’altro non comporteranno di certo benefici per i consumatori italiani ed europei. Peccato, peccato davvero.
14 febbraio 2022