La Procura della Repubblica di Ascoli Piceno sta indagando su una truffa che, al di là delle evidenze episodiche, potrebbe rivelare una natura sistematica: non un singolo soggetto responsabile di una frode alimentare, compiuta con dolo – latte annacquato venduto per buono – bensì una vera e propria organizzazione specializzata, operante su un territorio più vasto di quanto le prime indagini potessero far credere.
In sostanza, un autotrasportatore che ritirava latte nelle stalle per poi scaricarlo presso gli impianti di trasformazione, finì nel mirino dei controlli ordinari operati dalla Cooperlat Trevalli in quanto le analisi del latte allo scarico differivano da quelle del latte in cisterna, con un valore crioscopico (un 5% di acqua nel latte) ben più alto rispetto a quello scaricato.
L’inchiesta, avviata all’incirca un anno fa, a seguito delle evidenze palesate il 12 marzo presso l’unità Cooperlat di Amandola, ha portato all’individuazione di due autocisterne refrigerate il cui serbatoio era stato suddiviso in vari scomparti, uno dei quali veniva caricato con acqua. A quanto pare il latte veniva caricato in uno scomparto separato ma poteva essere occultato in un terzo vano, per non consegnare tutto il carico a destinazione.
Il sistema veniva telecomandato dal camionista, che all’atto della consegna faceva in modo che nella cisterna del destinatario finisse una parte del latte raccolto presso le stalle e – per compensazione – una quantità di acqua pari al latte che rimaneva sul mezzo.
Di fronte all’evidenza dei fatti, il camionista – di cui non si conoscono le generalità – ha ammesso le proprie responsabilità, ma a quanto pare non sarebbe stato collaborativo allorché gli inquirenti hanno cercato di capire l’architettura organizzativa che ha dato vita alla frode. Sequestrate le due autocisterne, di cui ora si conoscerebbero i minimi dettagli costruttivi e operativi ma non l’allestitore che avrebbe realizzato la trasformazione del mezzo.
Ma le domande sono molte altre, e al momento le indagini ristagnerebbero su poche certezze. In che area ha operato (od opera?) quella che verosimilmente è una organizzazione a delinquere? Con quanti mezzi e quanti autisti? Da quanto tempo è in piedi questa truffa? Gli allevatori erano/sono coinvolti nella vicenda?
E ancora: a chi veniva/viene ceduto e come veniva/viene trasformato e venduto al pubblico il prodotto del latte occultato? In quali canali veniva/viene commercializzato, essendo i prodotti derivati privi della necessaria tracciabilità? E infine, l’acqua con cui il latte veniva/viene tagliata, è microbiologicamente pura o può generare problemi di carattere sanitario?
Cooperlat precisa e prende le distanze
Dietro queste e altre possibili domande, è naturale che l’azienda investita del problema, unico soggetto noto della vicenda – la Cooperlat Trevalli – abbia sentito la necessità di pronunciarsi, se non altro per dichiarare di essere unicamente parte lesa.
L’avvocato Antonio Squillace, consulente legale del gruppo industriale marchigiano, ha dichiarato che “tutti i siti produttivi facenti capo al Gruppo Cooperlat sono riconosciuti ai sensi del Regolamento 853/2004 e soggetti, sulla base della valutazione del rischio, a monitoraggio continuo (audit e controlli ufficiali) da parte delle autorità competenti”, ed ha aggiunto che ogni anno “vengono condotti audit svolti da professionisti incaricati da organismi di certificazione indipendenti ed accreditati con lo scopo di controllare l’intero sistema. A questa attività il Gruppo Cooperlat aggiunge quotidianamente nei suoi siti produttivi, in fase di accettazione delle materie prime e durante tutta l’attività di produzione, rigidi controlli nel rispetto delle procedure interne”.
21 febbraio 2022