
Se vi chiedessimo di dirci cosa evocano in voi le campagne pubblicitarie del Parmigiano Reggiano, la gran parte delle risposte riguarderebbe il personaggio di Renatino, il casaro della serie “Amigos” che, per quanto ami il proprio lavoro (o ne sia forse “schiavo”) non va in vacanza da tempo immemorabile. Prendendo spunto dalle polemiche innescate dal suo spot sui social media nello scorso dicembre, centinaia di articoli – su siti web di giornali italiani e stranieri – sviscerarono la questione per giorni e giorni, poco più di tre mesi fa.
Sarà per una sorta di contrappasso, o forse perché i budget pubblicitari fanno gola a tutti gli editori, che in questi giorni nessuna testata – sottolineiamo nessuna – ha deciso di rilanciare una pur seria vicenda riguardante la stessa realtà (che in pubblicità nel 2021 ha investito 21 milioni di euro). Gli editori italiani, spesso sensibili – a parole – al benessere degli animali, hanno preferito quindi voltare le spalle ad un articolo che il quotidiano Il Salvagente ha pubblicato mercoledì scorso, 16 marzo. Un articolo pesante come un macigno, intitolato “Mucche in catene, l’accusa di Rsi agli allevamenti del Parmigiano”.
Si badi bene: nessun allevatore di quel consesso merita di essere messo all’indice con le banalizzazioni dell’estremismo o del qualunquismo animalista: al centro del caso non ci sono persone senza cuore né vacche davvero maltrattate, ma un metodo di allevamento che da tempo viene considerato superato, e che avrebbe dovuto essere aggiornato ma è rimasto tal quale a sé stesso, nonostante le cresciute attenzioni per le condizioni di vita degli animali.
Un metodo di allevamento delle bovine da latte, quello “a posta fissa”, ancora diffuso nel mondo rurale, e non solo in Italia, con stalle che sono condizionate dai propri stessi limiti di spazio. La questione è tanto ben conosciuta e sviscerata da trovare ampio spazio e trattazione sul sito web del nostro Ministero della Salute, che ne descrive ogni possibile limite, suggerendo tutti gli accorgimenti del caso, nel documento intitolato “Valutazione del benessere animale nelle specie bovina e bufalina: manuale esplicativo controllo ufficiale” (Una sintesi delle problematiche è in calce a questo articolo).
In Germania si valutano soluzioni e costi del cambiamento
Una problematica, quella degli allevamenti a posta fissa, che nell’estate scorsa trovò ampia eco in Germania, e particolarmente in Baviera, Baden-Württemberg e Assia, land in cui molti allevamenti sono a conduzione familiare. E dove a maggio la ministra dell’agricoltura della Baviera Michaela Kaniber si espresse a favore della riduzione dei capi allevati, dell’incremento qualitativo del latte prodotto, della ristrutturazione delle stalle, con l’obiettivo di rigenerare gli allevamenti a stabulazione fissa, attraverso un progetto pluriennale che avrebbe ricevuto un finanziamento di oltre 50 milioni di euro annui.
Un’apertura, quella della ministra bavarese, utile a pensare un futuro libero da catene, ma una disponibilità del tutto insufficiente, a detta degli allevatori, per coprire i costi di una vera e propria rivoluzione: il presidente degli agricoltori del “Landesbauernverbandes in Baden-Württemberg (l’Associazione statale degli agricoltori del Baden-Württemberg), Joachim Rukwied, che nel gennaio scorso presentò il “conto” di un’operazione strutturale: «La conversione», spiegò Rukwied, «costerà circa quattro miliardi di euro».
In Italia si sta perdendo tempo
È auspicabile che l’esempio della Germania (ma anche l’Austria e la Svizzera stanno valutando soluzioni) possa indurre Paesi come il nostro ad affrontare una questione critica e di difficile soluzione, che – prima o poi – andrà risolta, stanti le crescenti sensibilità pubbliche e le normative comunitarie in materia di benessere animale. Come si dice, il tempo è gentiluomo sì, ma per chi decide di non lasciarlo passare invano, per cui – di fronte al silenzio assordante di una stampa sempre troppo incline a non disturbare – sarebbe auspicabile che i diretti interessati, a partite dai consorzi di tutela della produzione (e non solo quello del Parmigiano Reggiano), senza escludere gli enti pubblici di competenza, definissero un programma di riconversione che abbia al centro il benessere animale, ma quello vero.
21 marzo 2022
Stabulazione fissa (o “alla posta”): limiti e anacronismi di allevamenti ormai obsoleti
“La libertà di movimento propria dell’animale”, recita il documento “Valutazione del benessere animale nelle specie bovina e bufalina: manuale esplicativo controllo ufficiale” del Ministero della Salute, “in funzione della sua specie e secondo l’esperienza acquisita e le conoscenze scientifiche, non deve essere limitata in modo tale da causargli inutili sofferenze o lesioni. Allorché continuamente o regolarmente legato, incatenato o trattenuto, l’animale deve poter disporre di uno spazio adeguato alle sue esigenze fisiologiche ed etologiche, secondo l’esperienza acquisita e le conoscenze scientifiche” (D. Lgs. 146/2001, allegato, punto 7).
“Lo spazio disponibile per ciascun bovino stabulato in gruppo”, prosegue il manuale, “dovrebbe essere calcolato in base all’ambiente complessivo, ai fabbisogni comportamentali degli animali, all’età, sesso, peso vivo, razza o condizione fisiologica, tenendo conto delle dimensioni del gruppo e se siano presenti capi dotati di corna. Tale spazio dovrebbe almeno consentire che tutti i bovini possano sdraiarsi contemporaneamente, riposare e alzarsi normalmente, girarsi e camminare liberamente.” (CE draft 8/09 articolo 11, punto 1).
Corde e catene
“Allorché continuamente o regolarmente legato”, si legge nel documento, “incatenato o trattenuto, l’animale deve poter disporre di uno spazio adeguato alle sue esigenze fisiologiche ed etologiche, secondo l’esperienza acquisita e le conoscenze scientifiche” (D. Lgs. 146/2001, allegato, punto 7). “Dove si usano corde o catene, queste non devono causare ferite o sofferenze, soprattutto quando i bovini si coricano, si alzano, bevono, mangiano o eseguono il grooming (toelettatura). Se i bovini sono allevati permanentemente alla posta, devono avere accesso al pascolo per almeno 60 giorni all’anno.” (CE draft 8/09 articolo 11, punto 2)”.
Inoltre, “la presenza di corde o catene negli allevamenti a stabulazione fissa limita la libertà di movimento delle bovine ed esse sono quasi completamente private dell’esercizio. A seconda della tipologia di legatura, le bovine sono anche più o meno impossibilitate ad esercitare il grooming sul loro corpo e mancano della libertà di movimento mentre si alzano e si sdraiano” (EFSA, 2009, p.30). Inoltre, “la lunghezza della catena e la progettazione delle poste nella stabulazione fissa dovrebbero consentire alla bovina di raggiungere facilmente cibo ed acqua e di sdraiarsi ed alzarsi senza difficoltà mostrando un normale pattern comportamentale.” (EFSA, 2012b – Raccomandazione 32).
Postazioni fisse (o cuccette)
“La lunghezza di una postazione fissa o di una cuccetta”, recita il manuale, “deve essere tale da consentire agli animali di rimanere in piedi e di distendersi su una pavimentazione solida. Le cuccette e le postazioni fisse devono consentire i movimenti specie-specifici degli animali quando essi sono in piedi, mentre si coricano e si alzano per evitare restrizioni a tali movimenti” (CE draft 8/09 Appendice C, punto 2). Più in particolare, “le cuccette e le poste fisse dovrebbero essere progettate in modo tale che il movimento in avanti del corpo della vacca non sia ostacolato quando cambia posizione da sdraiata ad in piedi.” (EFSA, 2012b – Raccomandazione 20).
La progettazione della stalla
“La stalla delle vacche da latte dovrebbe essere progettata in modo tale che esse possano sdraiarsi comodamente, così da ottenere la giusta quantità di riposo, decubito e ruminazione di cui hanno bisogno. Tutte le vacche dovrebbero potersi coricare contemporaneamente.” (EFSA, 2012b – Raccomandazione 41).
“Finché gli allevamenti a stabulazione fissa continueranno ad esistere, le vacche dovrebbero poter fare esercizio quotidiano, ovvero camminare liberamente all’interno o all’esterno (salvo condizioni climatiche avverse) ed avere la libertà di esercitare altri comportamenti come il grooming.” (EFSA, 2012b – Raccomandazione 47).
Una deroga che non può durare
“Tuttavia”, si legge ancora nel manuale, “per venir incontro alle esigenze dell’uomo e delle produzioni zootecniche, non si esclude che alcuni animali possano essere mantenuti regolarmente legati, incatenati o trattenuti, in particolare in quei contesti geografici dove sarebbe difficile costruire allevamenti a stabulazione libera, che richiederebbero molto più consumo di superficie.
Le lesioni
“Nel caso delle bovine da latte, la valutazione delle lesioni cutanee deve essere condotta sugli animali adulti (in lattazione/in asciutta) e sulla rimonta. L’osservazione della bovina si effettua a distanza di circa 2 metri, in senso cranio-caudale, valutando la faccia laterale di tutto il fianco di fronte al valutatore e la faccia mediale solamente dell’arto controlaterale posteriore. In particolare, si deve porre l’accento su (Welfare Quality®, 2009a – 6.1.3.1 Absence of injuries – Integument alterations; modificato):
- regioni della testa e del collo; ad esempio per le bovine in stabulazione libera non sono infrequenti le rilevazioni di lesioni connesse a mangiatoie basse;
- per gli animali in stabulazione fissa, prestare attenzione alla presenza di lesioni al collo connesse al tipo di catena o corda utilizzata e di lesioni alla giogaia a causa della mangiatoia;
- regione dell’arto anteriore (solo faccia laterale);
- area del dorso e dei lombi;
- quarto posteriore (compresa la coda), faccia laterale dell’arto posteriore e faccia mediale del controlaterale;
- fianco, addome, mammella e capezzoli (ad esempio, lesioni traumatiche per i facili calpestamenti a causa della stretta vicinanza nel caso di bovine legate alla posta)”.