Dall’accusa di frode in commercio – per aver messo in vendita un formaggio con la dicitura “gorgonzola di capra” – all’assoluzione il passo è stato breve, anche se di anni ne sono passati quasi tre, tra il verbale dei Carabinieri e il processo, conclusosi lunedì scorso, 28 marzo, presso il Tribunale di Cuneo.
Nel settembre del 2019, presso lo stand di un’azienda agricola, alla fiera del Santuario di Vicoforte, nel cuneese, i militari dell’Arma trovarono due cartelli con la dicitura vietata, in quanto ingannevole (“gorgonzola di capra” evocherebbe la denominazione “Gorgonzola Dop”), e formaggi ben diversi dal vero Gorgonzola. Per questo, furono denunciati sia G.C., titolare dell’azienda agricola, sia suo padre, A.C., che al momento della contestazione era l’unico presente presso lo stand.
«Una dicitura illegale», ha sottolineato in aula il maresciallo dei Carabinieri Stefano Ambrosio, che contestò l’illecito, «perché il Gorgonzola, che è un prodotto a denominazione protetta, può essere fatto solo con il latte vaccino».
Nel tentativo di giustificarsi, il proprietario dell’azienda ha dichiarato di sapere che il “gorgonzola di capra” non esiste, e che quella dicitura era stata utilizzata perché «alla fiera solo il 50% della persone sa che cos’è il Blu di capra, e allora se qualche cliente mi avesse chiesto informazioni, gli avrei detto che il “gorgonzola di capra” non esiste ma che avevamo un formaggio “blu di capra” che avrebbero potuto ordinare».
L’avvocato difensore, Alberto Masoero, ha poi precisato che «fu sequestrata una forma simile al gorgonzola, sul quale però non vennero eseguiti accertamenti». E ad essere prelevate presso lo stand furono anche delle bottiglie di vino (oggetto non di vendita ma di mescita in degustazione, ndr), etichettate come Barbera, Dolcetto e Nebbiolo, anch’esse oggetto di contestazione.
«Sull’etichetta, molto scarna», ha precisato il maresciallo, «non c’era nessun riferimento all’azienda produttrice e a quella imbottigliatrice ma solo all’azienda agricola di A.C.». Particolare rilevante: i successivi accertamenti hanno evidenziato la presenza di solfiti, non indicati in etichetta. Inoltre, da successivi accertamenti presso l’azienda agricola, non sono risultati terreni coltivati a vigneto, cosa che aveva portato i Carabinieri a concludere che il vino fosse stato prodotto altrove.
Al termine dell’istruttoria l’accusa ha richiesto la condanna dei due imputati a sei mesi di reclusione e duemila euro complessivi di multa. La difesa ha avanzato invece la richiesta di piena assoluzione per la figlia dell’imprenditore, che in azienda ricopre il solo incarico amministrativo, e l’assoluzione per il padre, ritenendo pienamente credibili le affermazioni dell’uomo sul tipo di formaggio in vendita e sottolineando che, per ciò che concerne le bottiglie di vino, esse non erano in vendita ma destinate ad accompagnare la degustazione dei formaggi.
Il giudice ha così assolto i due imprenditori agricoli “perché il fatto non sussiste”, in quanto alla questione del formaggio e ha condannato l’uomo a un mese di reclusione, con sospensione della pena, e 200 euro di multa, unicamente per le bottiglie di vino presenti presso lo stand. Bottiglie di cui è stata disposta la distruzione.
4 aprile 2022