
La zootecnia da latte è in ginocchio in tutta Europa, a causa del cambiamento climatico e delle conseguenze che la guerra in Ucraina ha comportato per tutti, incidendo drammaticamente sui costi delle materie prime (gas, gasolio, ma anche foraggi), quando disponibili sul mercato.
Lo ripetono da settimane vari soggetti più o meno coinvolti nel fenomeno: dalle stesse aziende produttrici ai loro fornitori, alle imprese dell’indotto, alle rappresentanze di categoria. Chi più chi meno, tutti hanno tentato di quantificare sin qui le dimensioni del problema, spesso tirando a indovinare (Coldiretti docet), come da lungo tempo avviene in Italia quando qualcuno si sente in diritto di spiegare qualche fenomeno rilevante.
A fronte di scenari non meglio definiti prospettati sinora (“Chiuderà una stalla su dieci”, etc.), finalmente giunge una voce autorevole – quella del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) – che fornisce un’analisi ufficiale, scaturita dallo studio dei dati forniti dalla rete Rica (Rete d’Informazione Contabile Agricola), emanazione del Crea stesso.
Il report in oggetto (“Crisi energetica: gli effetti sui bilanci delle aziende con bovine da latte e sui costi di produzione del latte”) è il terzo che l’ente pubblica nel 2022, fotografando e documentando le difficoltà di un’agricoltura che sta affrontando una crisi senza precedenti, dovuta agli effetti della guerra e aggravata dall’emergenza idrica.
«Dopo l’analisi di carattere generale degli effetti della guerra in Ucraina sui risultati economici delle aziende agricole italiane», spiega Alessandra Pesce, direttrice di Crea Politiche e Bioeconomia, «ci siamo concentrati su uno specifico settore, quello zootecnico, in particolare dell’allevamento dei bovini da latte, uno tra i settori più colpiti dall’impennata dei costi».
Diversamente dai precedenti documenti, che contenevano le categorie di costo ritenute oggettivamente influenzabili dall’aumento dei prezzi pagati dagli allevatori, in questo report non solo sono state aggiornate le precedenti voci di spesa, ma sono state integrate con i fattori di produzione, prima non considerati.
Così facendo, le otto voci di costo analizzate dai ricercatori – sementi e piantine, fertilizzanti, antiparassitari e diserbanti, mangimi, foraggi e lettiere, gasolio, energia elettrica, noleggio passivo – hanno portato ad un aumento dei costi di produzione delle aziende agricole pari al 111% nel primo semestre del 2022 rispetto al 2020. L’ impatto medio aziendale nazionale stimato è ammonta a 29.060 euro per azienda agricola, niente in confronto con il leso che gli allevamenti da latte sono chiamati a sostenere, vale a dire 90.129 euro.
“Tali aumenti”, spiegano al Crea, “sono legati all’eccezionale rincaro a livello medio aziendale delle spese per l’energia elettrica (+35mila euro), per l’acquisto di mangimi (+34mila) e dei carburanti (+6mila euro).
Andando più a fondo, il report evidenzia anche le variazioni su scala territoriale: “la circoscrizione nord occidentale, che registra il più elevato incremento dei costi (oltre 138mila euro per azienda), è quella con i minori incrementi percentuali (+106%), mentre in quella nord orientale i costi aumentano del 108%, per crescere progressivamente nel centro (+112%), nel meridione (+129%) e nelle isole (+138%)”.
Venendo alle conclusioni, lo studio stima che un’azienda su quattro potrebbe non riuscire a far fronte ai pagamenti immediati e a coprire i costi correnti, con il forte rischio di dover chiudere l’attività.
I dati ovviamente risentono di forti variazioni, e il report tiene conto di tali differenze. I risultati, infatti, sono strettamente correlati alle caratteristiche strutturali aziendali, alla dimensione economica, al modello organizzativo, nonché alla vocazione produttiva e al contesto economico e territoriale, in cui le aziende zootecniche operano, e al collegamento con i mercati di approvvigionamento dei mezzi tecnici di produzione.
3 ottobre 2022
Per chi lo volesse consultare, il report del Crea è raggiungibile cliccando qui