
Non si chiamerà più “Robiola di Roccaverano Dop” ma semplicemente “Roccaverano Dop”, verrà coniugato al maschile, quindi, e sarà prodotto esclusivamente con latte caprino della zona di origine.
Sono queste le principali novità che riguardano il piccolo formaggio piemontese, ora che la modifica è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Commissione Europea mercoledì 15 febbraio scorso.
«Il Roccaverano», ha sottolineato il presidente del Consorzio di Tutela del Roccaverano Dop, Fabrizio Garbarino, «è invariato nel contenuto e nelle modalità di produzione, ma con il nuovo disciplinare il nostro Consorzio e i produttori che ne fanno parte consolidano il proprio impegno all’insegna della qualità, limitando esclusivamente a quello di capra il latte utilizzabile».
Si badi bene, prosegue Garbarino: «Non si tratta di un limite: di fatto sono anni che produciamo il Roccaverano solo con il latte di capra, quello che mancava era che il regolamento lo riconoscesse».
«Nel nome», ha aggiunto il presidente del consorzio, «abbiamo tolto il riferimento alla robiola, perché nell’immaginario collettivo la robiola è un formaggio molle e senza stagionatura, di latte vaccino, mentre il Roccaverano è prodotto solo con latte di capra, ha una consistenza totalmente differente dalla robiola industriale e può essere stagionato anche per 3 o più mesi».
Modifiche anche per il Formai de Mut
Per quanto concerne il Formai de Mut, le modifiche pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Commissione Europea, giovedì 16 febbraio scorso, allentano le maglie sulle mungiture, che non dovranno essere “una o due giornaliere”, come previsto in precedenze, purtroppo. Le due tipologie di stagionatura prevedono una maturazione di 45-180 giorni per il prodotto “base” ovvero una stagionatura di oltre sei mesi per il “Riserva”.
In merito al procedimento di produzione, il nuovo disciplinare specifica finalmente il tipo di caglio da impiegare – quello bovino – ponendo fine ad altre opzioni forse mai praticate, ma rese teoricamente possibili, in precedenza, per la mancanza di indicazioni. La temperatura di cottura della cagliata concede ora 2ºC in meno per la minima e 3ºC in più per la massima, ampliando la “forbice” di ben 5ºC complessivi: in sostanza passando da un 45º-47ºC all’attuale 43º-50ºC, che spiana la strada alla produzione di formaggi più o meno idonei alla stagionatura.
È stato infine escluso l’obbligo di utilizzare le “idonee presse” previste in precedenza, per favorire lo spurgo del siero residuo quando la cagliata è in fascera , e questo per far sì che i piccoli caseifici, in specie quelli d’alpeggio, possano utilizzare soluzioni diverse e altrettanto valide, come quella tradizionale che vede porre una pesante pietra sul telo che avvolge il prodotto, una volta messo in forma.
Entrambi i regolamenti entreranno in vigore a partire dal ventesimo giorno dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Commissione Europea.
20 febbraio 2023