Non parlate di tipicità a rischio se a venir meno è il mais

Campo di mais
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La siccità che sta caratterizzando anche la stagione invernale, aggiunge preoccupazioni a preoccupazioni per un’emergenza idrica che colpirà anche quest’anno il mondo agricolo, senza risparmiare la zootecnia. Ad essere previste in calo infatti non sono solo le produzioni di ortaggi, ma anche il riso e il mais, che fletteranno di almeno un 20 se non di un 30% secco.

La siccità è ormai strutturale, con precipitazioni nevose che rispetto al 2022 registrano un 45% in meno sulle Alpi, e con gli invasi idrici che non riescono a trattenere più dell’11% di acqua: un terzo circa di quanta ne servirebbe per coprire il fabbisogno di acqua del comparto.

A preoccupare fortemente è il settore zootecnico, per la riduzione delle semine di mais, che scenderanno sotto il minimo storico coltivato nel nostro Paese, in un contesto assai grave per tutta l’Ue, dove nel 2023 è previsto un calo netto di 21 milioni di tonnellate.

Di fronte a una situazione così grave, che si prevede toccherà anche le risorse di acqua potabile (secondo l’Anbi sono a rischio tre milioni e mezzo di italiani), il Governo italiano ha deciso di istituire un tavolo interministeriale, al quale siederanno (a partire da oggi, 1º marzo, con la prima riunione) i responsabili di cinque Ministeri (Ambiente, Agricoltura, Affari Europei, Coesione e Pnrr e Infrastrutture) e del Dipartimento della Protezione Civile.

Sulla crisi idrica giovedì scorso, 23 febbraio, si è espresso anche il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, che in un question time al Senato, ha sottolineato come la siccità ponga con urgenza «il tema degli investimenti necessari ad affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici». «In materia di acque», ha proseguito il ministro, «le azioni da implementare dovranno focalizzarsi sulla tutela quantitativa e sull’utilizzo razionale della risorsa idrica».

Questo porterà evidentemente a molti interventi specifici ma anche a cambiamenti sostanziali, che alcuni decideranno di operare e altri dovranno subire. In questi giorni molte testate giornalistiche locali riferiscono di riprogrammazioni delle semine, con una forte tendenza all’abbandono del mais (che richiede più acqua ed è soggetto ad attacchi di micotossine) e una virata su alternative come la soia.

Come ben esposto sull’Informatore Agrario il 23 febbraio scorso dal Prof. Dario Frisio, docente ordinario di Scienze e Politiche Ambientali presso l’Università di Milano, nell’anno in corso l’Italia sarà costretta a ricorrere fortemente all’importazione di alimenti zootecnici, a cominciare proprio dal mais, con problematiche di vario genere e un aggravio dei costi molto importante.

L’articolo, esaustivo e interessante, ha solo un limite, probabilmente non imputabile al suo autore bensì allo staff redazionale, già che i titoli sono spesso prodotti da chi a malapena ha letto in corsa i pezzi. Quello in oggetto – “Maiscoltura in calo, a rischio i prodotti tipici italiani” – esprime un concetto basato su un clamoroso ossimoro. Davanti a esso, la domanda da porsi è una e una sola: quali tipicità possono mai derivare dall’uso di un alimento globalizzato come il mais? Chiedetevelo di nuovo quando leggerete i disciplinari di tante decantate Dop.

Un quesito, quello su esposto, davanti al quale si aprirebbero almeno due scenari dialettici: uno – per l’appunto – sulle (presunte) tipicità delle Dop industriali italiane; l’altro sulle (vere) tipicità dei prodotti più autentici, legati – quelli sì – ai vari territori d’origine, alle varie tecniche di produzione locali, alle varie erbe (polifite) che sono alla base delle vere tipicità reali. E non di quelle presunte.

1 marzo 2023