Al pari di moda e design, per molti nostri connazionali il cibo “made in Italy” rappresenta un’eccellenza in grado di surclassare ogni concorrenza straniera. L’idea non deve certo sorprendere, figlia com’è di decenni di retorica coldirettiana diffusa con smodata compiacenza dai media del Paese.
Ma al di là di questo, ciò che oggi si coglie, nel sentir ribadire questo vecchio refrain, è che qualcuno abbia deciso di andare oltre le apparenze e le credenze, per investigare in profondità il sentimento italico su molti aspetti del produrre e consumare cibo, non ultimi i temi degli allevamenti “da reddito” e del benessere animale.
A determinarsi nell’investigare su questo fronte del comune sentire nazionale, mirando alle produzioni lattiero-casearie e carnee, è stata l’Aisa (Associazione Nazionale Imprese Salute Animale) di Federchimica, che ha commissionato alla Swg di Trieste un interessante sondaggio che si è espresso attraverso la ricerca intitolata “Allevamenti e benessere animale: l’opinione degli italiani”.
Tra i dati salienti emerge che il 71% dei nostri connazionali restano fedeli a una dieta alimentare equilibrata che privilegi i prodotti di origine animale italiani, perché li considera sicuri e di qualità. Su questo aspetto, a detta della Sig e di Aisa i giovani consumatori non si starebbero allontanando dai prodotti di origine animale.
Sui nuovi orientamenti dei consumatori ci sarebbe anche l’idea che leggere l’etichetta non basti per ottenere le informazioni salienti: a detta della società triestina i consumatori di oggi vogliono sapere quali siano le condizioni di vita degli animali negli allevamenti “da reddito”. La domanda di informazioni sul benessere animale si rivela meno pressante fra i “carnivori”, con un consumatore su cinque (20%) di essi che fa del prodotto di origine animale il cibo prevalente nella dieta. L’interesse è invece più forte in coloro che fanno un consumo ridotto di alimenti di origine animale (meno di 25 grammi al giorno di carne è il dato medio stimato).
D’altro canto il 57% degli intervistati afferma di seguire un’alimentazione composta in egual misura da alimenti di origine animale e non: carne e latticini sono infatti preferiti dalla fascia di popolazione tra i 18 e i 34 anni (18% del campione) che ha dichiarato di consumarne sino a quattro volte alla settimana. Per l’82% degli intervistati la qualità dei prodotti di origine animale è strettamente connessa a un allevamento di qualità.
Tema cruciale: il benessere (vero) degli animali da reddito
Il benessere degli animali all’interno degli allevamenti è un tema cruciale nella considerazione di uno sviluppo ambientale sostenibile e allo stesso tempo è un elemento tenuto in considerazione dai consumatori nelle scelte di acquisto. I prodotti di origine animale sono ampiamente presenti nella dieta degli italiani (“in particolare dei giovani”, sostengono alla Swg) e nelle scelte di acquisto le condizioni dichiarate dalle modalità di allevamento rappresentano un fattore-chiave per un consumatore su quattro e sono comunque valutate dal 60% degli intervistati.
Si tratta di un “driver di scelta importante” (assai più del prezzo che, anzi, se troppo basso induce a diffidenza), sostengono alla Swg, “secondo solo alla provenienza “made in Italy” dei prodotti”. L’attenzione alle modalità di allevamento appare poi strettamente correlata anche ad una generale maggiore consapevolezza nelle scelte alimentari, in particolar modo, tra chi fa un consumo più ridotto di prodotti di origine animale.
Per quanto gli allevamenti in Italia siano ritenuti dai più “di qualità complessivamente superiore”, risulta ampia la quota di intervistati convinti che le condizioni di vita degli allevamenti siano migliorabili. A questo scopo, per ottimizzare la qualità di vita negli allevamenti, si ritiene di dover innanzitutto ridurre l’utilizzo di antibiotici e l’affollamento, aumentando, di pari passo, il monitoraggio della salute psico-fisica degli animali. Per quasi un intervistato su tre sarebbe bene mettere a punto dei sistemi che garantiscano agli allevatori più virtuosi dei meccanismi di “premialità”.
“Per migliorare le condizioni di vita degli animali allevati”, spiegano alla Swg, “due intervistati su tre si dichiarano disposti a pagare un prezzo più alto, mentre l’ipotesi di diminuire il consumo spacca il campione, con una propensione doppia tra chi già oggi ne limita il consumo rispetto a chi invece fa degli alimenti di origine animale la principale componente della propria dieta”.
Considerando infine il ruolo dei veterinari all’interno degli allevamenti, un italiano su due ritiene che debba esistere una stretta collaborazione tra queste figure professionali e i gestori degli allevamenti, i quali sono comunque ritenuti i maggiori responsabili nella tutela del benessere animale.
14 giugno 2023