Il Tar accoglie il ricorso del Parmigiano: il lisozima in etichetta come conservante

Grana Padano – foto di Sinikka Halme© – Creative Commons License

Era ora: il punto e a capo è stato messo nella tormentata vicenda che negli ultimi anni ha accompagnato l’indicazione del conservante lisozima sulle etichette del Grana Padano. A farlo, giovedì scorso 14 dicembre, è giunta una sentenza del Tribunale Amministrativo del Lazio, che purtroppo sì è fatta attendere più di cinque anni dalla presentazione del ricorso presentata dal Consorzio di Tutela del Parmigiano Reggiano.

Un’azione che l’ente reggiano esercitò in opposizione alla circolare con cui il ministero della Salute Lorenzin (Governo Gentiloni) decise di spostare, arbitrariamente, senza averne titolo e solo per il Grana Padano (non per Provolone Valpadana, Asiago e Montasio, ad esempio) il lisozima dalla lista dei conservanti a quella dei “coadiuvanti tecnologici“ (circolare ministeriale n. 8.5.18, firmata dall’allora direttrice generale per l’Igiene e la Sicurezza Alimentare Dr.ssa Gaetana Ferri). Un’operazione, si venne poi a sapere, che fu sollecitata dal Consorzio di Tutela del Grana Padano, per consentire ai produttori di cancellare una volta per tutte da etichette e letteratura commerciale la scomoda dicitura di “conservante” che tanta distanza pone tra la Dop più prestigiosa d’Italia e la Dop più venduta al mondo.

Clostridi e uso del lisozima

Come è noto ai più, l’uso di conservanti naturali (il lisozima, proteina dell’uovo, è in quanto tale un allergene, quindi doppiamente scomodo per chi lo utilizza) è comunque ammesso nella produzione di formaggi – anche Dop – pur che indicato in etichetta, laddove l’alimentazione delle bovine, basata su mangimi insilati rappresenta un elemento critico, in quanto favorisce la presenza nel latte di clostridi. Questi batteri, oltre a svilupparsi in condizioni di anaerobiosi, quindi nei mangimi insilati, resistono indenni persino alla pastorizzazione del latte e, in assenza di lisozima, causano la rottura delle forme in corso di stagionatura (gonfiore tardivo).

Sulla vicenda scaturita nel 2018 dall’inopportuno intervento del suddetto ministero (che invero non aveva e non ha alcun potere di derogare alcunché in una materia su cui a legiferare è l’Unione Europea) e sui conseguenti contraccolpi che da essa scaturirono, la nostra Redazione riferì in diversi articoli (il principale è qui; l’elenco completo lo trovate in calce a questo articolo), pubblicati tra il novembre del 2018 e il febbraio del 2019.

La sentenza del Tar

Venendo all’attualità, e alla sentenza del Tribunale Amministrativo del Lazio, con essa i giudici hanno innanzitutto rigettato l’opposizione sollevata da Consorzio di tutela del Grana Padano e Ministero della Salute in merito all’ipotetica carenza di legittimazione del Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano nel presentare ricorso, risultando l’iniziativa stessa dell’ente reggiano “all’interno della funzione essenziale svolta dal Consorzio ricorrente relativa alla tutela della Dop “Parmigiano Reggiano””.

“Sia il Parmigiano Reggiano sia il Grana Padano”, proseguono le motivazioni espresse dai giudici del Tar, “sono infatti formaggi Dop, a pasta dura e di lunga stagionatura, che si collocano nello stesso mercato di riferimento e che sono, quindi, evidentemente in competizione tra di loro”.

20 dicembre 2023

Al tentativo del Consorzio di Tutele del Grana Padano di ottenere la riclassificazione del lisozima come coadiuvante tecnologico, alle conseguenze e alle polemiche che ne scaturirono a cavallo tra 2018 e 2019 la nostra Redazione ha dedicato diversi articoli, tra cui vi segnaliamo:

Lisozima nel Grana: la base del Reggiano contesta Bertinelli” 26.11.2018

Grana Padano e lisozima “scappato” (dalle etichette): la protesta si allarga e crea clamore” 17.12.2018

Grana e lisozima: gli animi si scaldano, fioccano le denunce” 14.01.2019

Il lisozima è un conservante: illusioni svanite per il Grana” 18.02.2019