
È davvero forte il sistema latte trentino, nel sostenere i propri caseifici: punta molto sull’immagine, com’è bene che sia. Senza guardare in faccia a nessuno. Neanche ad un bambino ridotto allo stato vegetativo irreversibile da uno dei suoi caseifici sociali – quello di Coredo – neanche al padre e alla madre, le cui vite saranno per sempre solcate dal dolore, per quel figlio che non vive e non muore. Ma vegeta.
La storia la conoscono bene i nostri lettori più attenti, raccontata attraverso sei articoli, con cui la nostra Redazione ha seguito le tappe salienti che hanno portato dalla contaminazione (di un formaggio a latte crudo, vettore di escherichia coli) alle prove schiaccianti contro i responsabili, alle pene comminate da un processo-farsa, che ha condannato i responsabili unicamente a sanzioni amministrative, peraltro irrisorie.

In tutti questi anni – sette dal fattaccio a oggi – la gran parte della stampa italiana è rimasta silente, se si fa eccezione per il quotidiano web La Voce del Trentino, sempre attento e puntuale a riferire le evoluzioni del caso, per qualche rara cronaca de L’Adige, e per la trasmissione “Mi manda RAI Tre” del 4 ottobre scorso, che ebbe il merito di squarciare il velo di silenzio e indifferenza che su quel dramma familiare era piombato.
Si sgretola il muro del colpevole silenzio
Ma adesso no, qualcosa ora è cambiato, già che per diversi giornali (il Dolomiti, Gambero Rosso, Dissapore, Il Fatto Quotidiano e altri) è arrivato, seppur tardivo, il momento di parlare, di raccontare non essendo più possibile tacere. Di fronte a una vicenda grave di per sé che ora deflagra, per l’arrogante tracotanza di chi preferisce l’azione alla contrizione e il proprio business al rispetto per le vittime.

La svolta mediatica del caso accade venerdì 8 marzo scorso, quando proprio il Caseificio di Coredo viene scelto – si badi bene: quello e non altri – per lanciare il marchio agroalimentare “Val di Non”. Non un paniere di prodotti che la valle esprime – non frutta, non verdure né salumi – né altri formaggi e caseifici per quel lancio, ma solo un formaggio, prodotto proprio dal Caseificio Sociale di Coredo.
Un’iniziativa – è lecito pensarlo – che lascia trasparire una strategia di rilancio, forse dettata da necessità (magari non solo di immagine, chissà) che solo gli amministratori di quell’azienda e gli enti che la sostengono possono conoscere sino in fondo. Ad ogni modo un’operazione che agli occhi del mercato appare come un riconoscimento, un “premio”.
Una scelta indifendibile
E così accade che sul sito web della Cooperazione Trentina, in un articolo pubblicato proprio in data 8 marzo e intitolato ““Val di Non Fresco Formaggio Nostrano”, oggi il taglio della prima forma a Castel Valer” si leggono le motivazioni ufficiali di una scelta che a noi appare avventata quanto irrispettosa nei confronti delle vittime, oltre che priva del buonsenso che una circostanza del genere richiederebbe.
Il pezzo racconta – testuali parole – della “presentazione del primo prodotto agroalimentare a marchio “Val di Non”. Realizzato dal Caseificio Sociale di Coredo e distribuito da Trentingrana Formaggi del Trentino. Obiettivo: fortificare il legame tra i prodotti, la filiera e il territorio”. Evidente è il tentativo di rilanciare un caseificio azzoppato per sua stessa mano, che forse sconta sul mercato il peso di errori evitabili ma ormai compiuti (il tubo di carico del latte fu visto cadere a terra fuori dalle stalle e tal quale utilizzato per il travaso di materia prima destinata a produrre formaggi a latte crudo, ndr) e di una conduzione ingiustificabile e indifendibile.
Tornando al suddetto articolo scopriamo poi che “da oggi la Val di Non, territorio ricco di natura, storia e tradizioni, ha una prelibatezza in più: è “Val di Non Fresco Formaggio Nostrano”, il primo prodotto agroalimentare a marchio Val di Non, realizzato dal Caseificio Sociale di Coredo e distribuito dal Gruppo Formaggi del Trentino, realtà tra i principali player nel settore, che riunisce 14 caseifici cooperativi della Provincia Autonoma di Trento che, a loro volta, associano circa 650 allevatori produttori di latte locali”.
“La cornice di Castel Valer, a Ville d’Anaunia”, aggiunge il pezzo, “ha ospitato presentazione e taglio della prima forma di “Val di Non Fresco Formaggio Nostrano””, che appare immortalato dalla fotografia che qui pubblichiamo, assieme a quella della forma, che quantomeno un segnale positivo lo lancia: il formaggio è prodotto da latte pastorizzato (nella foto, qui sopra): non il massimo per un formaggio rappresentativo di un territorio, ma quantomeno un poco più rassicurante dal punto di vista della salute pubblica, vista l’assenza di garanzie che il produttore ha palesato – purtroppo – per quanto riguarda le procedure sanitarie e l’auto-controllo.
20 marzo 2024
Qui una selezione degli articoli usciti nei giorni scorsi su giornali che mai avevano trattato la vicenda (ad eccezione de La Voce del Trentino) e che ora si dimostrano a dir poco critici nei confronti del caseificio e del sistema latte trentino:
il Dolomiti 16.03.24
“Bimbo di 7 anni in fin di vita per il formaggio contaminato, al caseificio il “marchio” per un prodotto. Il padre: “Al riconoscimento anche l’assessora Zanotelli, non si vergognano?“”
La Voce del Trentino 15.03.24
“Riduce un bambino in fin di vita, l’Apt della val di Non lo premia col marchio di qualità“
Gambero Rosso 14.03.24
“Riduce un bambino in fin di vita, oggi Trento celebra il suo formaggio. Il caso di un caseificio della Val di Non“
Dissapore 13.03.24
“Il primo formaggio a marchio Val di Non nasce con un caseificio condannato per lesioni su un bambino“
Il Fatto Quotidiano (per abbonati) 13.03.24
“Il suo formaggio ridusse bimbo in fin di vita: Trento premia l’azienda: “Altissima qualità””
RAI UNO 19.03.24
Qui infine il servizio che La Vita in Diretta di RAI Uno ha dedicato al caso ieri pomeriggio, intervistando il papà del bambino