
Sì è concluso mercoledì scorso, 5 marzo, a Trento il processo che vedeva sul banco degli imputati Lorenzo Biasi e Gianluca Fornasari, rispettivamente ex presidente e casaro del Caseificio sociale di Coredo, responsabili di aver causato lesioni personali colpose gravissime a Mattia Maestri, il bambino che nel 2017 contrasse la Seu (sindrome emolitico-uremica) per aver mangiato un formaggio a latte crudo contaminato da Escherichia coli-Stec.
La Corte di Cassazione del Tribunale di Trento ha respinto i ricorsi degli imputati, giudicandoli inammissibili, e ha confermato le condanne pecuniarie emesse in primo grado dal Giudice di Pace di Trento. La Suprema Corte ha riconosciuto un “nesso di causalità tra il consumo del prodotto caseario e la patologia insorta nel bambino”. Ha inoltre confermato anche la provvisionale di un milione di euro per lesioni personali gravissime, da ripartire nella misura di 600 mila euro per Mattia Maestri e di 200mila euro ciascuno per i genitori Giovanni Battista e Ivana.
Mattia e i suoi genitori, condannati alla non-vita
Oltre i sintetici termini clinici, va detto che Mattia, che all’epoca dei fatti aveva 4 anni e oggi ne ha 12, è condannato ad una non-vita, versando in stato vegetativo irreversibile. Per capire a quale condanna siano costretti lui e i suoi familiari basti pensare che il bimbo, che sin dalle sue dimissioni ospedaliere si trova a casa, non ha coscienza né di sé né dell’ambiente che lo circonda, non recepisce stimoli, non comunica in alcun modo, non si nutre autonomamente e che la sua esistenza – e quella dei suoi genitori – viene scandita ogni giorno da 47 somministrazioni farmacologiche e da circa 30 crisi epilettiche.
Le parole di Giovanni Battista Maestri
Interpellato ieri dall’agenzia giornalistica Ansa, Giovanni Battista Maestri ha dichiarato che «non posso dirmi felice per la sentenza di Cassazione di ieri, perché dopo aver perso un figlio non si può più dirsi felici. Dico però che c’è stato un passaggio importante per fare in modo che quello che è successo a Mattia non accada a un altro bambino».
«La sentenza della Cassazione», ha proseguito Maestri, «è importate non per i soldi, di cui non mi è mai importato alcunché, ma perché ha accertato il comportamento criminale e ha dimostrato che non sono bastate le lettere di minaccia e i proiettili fatti trovare dai testimoni (per intimorirli, ndr) per evitare che la giustizia facesse il suo corso. Ora, con tre gradi di giudizio, la politica deve togliere il marchio di qualità al caseificio di Coredo».
«Quando il mio Mattia non ci sarà più“, ha concluso Maestri, «chiederemo di procedere per omicidio colposo».
7 marzo 2025