Nel dare la notizia dell’ennesimo caso di sfruttamento del lavoro nel settore zootecnico, il Tgr Rai della Regione Abruzzo ha parlato stavolta – senza mezzi termini – di “schiavismo”. Un concetto forte per i tempi nostri? Purtroppo no, visti i contorni emersi dalla vicenda. La notizia, diffusa mercoledì scorso, 28 maggio, si riferisce a un’operazione congiunta condotta dagli agenti della Guardia di Finanza di Avezzano e dai funzionari dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro dell’Aquila.
Nel corso di un controllo di routine operato in un’azienda della Marsica, mirato ad accertare l’adempimento degli obblighi di tipo amministrativo e a verificare la presenza di eventuali collaboratori ingaggiati irregolarmente, gli ispettori hanno identificato due lavoratori – impiegati in qualità di pastori – uno dei quali è risultato operare “in nero”. Gli approfondimenti investigativi svolti in loco hanno permesso di rilevare una situazione se possibile ancor più grave di quanto potesse essere emerso dalle prime sommarie verifiche: i due lavoravano almeno dodici ore al giorno venendo retribuiti 2 euro l’ora. Ulteriore aggravante, lo stato di conclamata necessità di uno dei due, accolto nel nostro Paese come “richiedente protezione internazionale”, che – per i termini di legge – avrebbe dovuto godere di ben altro trattamento.
Per quanto concerne la soluzione abitativa concessa loro, il titolare dell’azienda aveva pensato che il soppalco di un magazzino adibito ad autorimessa potesse prestarsi all’occorrenza, nonostante l’estrema precarietà e il degrado poi accertati dall’ispezione. A completare il quadro della situazione, ulteriori controlli portavano al rinvenimento di una stalla costruita in assenza di concessione edilizia, in cui erano ricoverate circa quattrocento pecore.
A seguito dell’ispezione, per le suddette contestazioni, il legale rappresentante dell’azienda è stato deferito alla Procura della Repubblica di Avezzano – in stato di libertà – per violazione dell’articolo 603/bis del Codice di Procedura Penale (sull’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro) e per violazioni del Regolamento sulla sicurezza dei luoghi di lavoro previsti dal Decreto legislativo n. 81/2008.
Per le diverse e gravi irregolarità emerse – prima fra tutte una forza-lavoro per più del 10% composta da irregolari – l’attività dell’azienda è stata sospesa d’ufficio. Una misura minima, destinata ad aggravarsi – si spera – in sede di giudizio penale.
Italia fanalino di coda in tema dei diritti del lavoro
“Quello del lavoro povero, e più in generale dei bassi salari, è uno dei principali problemi dei lavoratori e delle lavoratrici in Italia”. A renderlo noto, fornendo numeri sconcertanti, è l’Ufficio Economia della Cgil nazionale, secondo cui “sono 6,2 milioni (35,7%) i dipendenti del settore privato che nel 2023 hanno percepito un salario inferiore ai 15 mila euro lordi annui”, guadagnando spesso meno di 1.000 euro netti al mese. “Nel complesso”, prosegue la Cgil, “i lavoratori che guadagnano meno di 25mila euro lordi annui sono circa 10,9 mln di dipendenti (62,7%)”.
Secondo l’analisi proposta dallo studio, tra gli elementi più penalizzanti della questione salariale vi sono la tipologia contrattuale e il tempo di lavoro. I lavoratori con contratti a termine e part-time hanno salari lordi medi rispettivamente di 10,3mila e 11,8mila euro annuì. I lavoratori che cumulano le due condizioni vedono ridursi ulteriormente il salario lordo annuale medio a 7,1mila euro.
“Gli altri fattori che determinano i bassi salari”, prosegue il sindacato, “sono l’alta incidenza delle qualifiche più basse nel mercato del lavoro italiano e la forte discontinuità lavorativa, basti pensare che l’83,5% di tutti i rapporti di lavoro cessati ha avuto una durata inferiore all’anno, di cui il 51% fino a 90 giorni. Inoltre, nello studio si evidenzia come a incidere negativamente sui salari sia anche la bassa retribuzione oraria. Circa 2,8 mln di lavoratori dipendenti hanno una retribuzione oraria inferiore a 9,5 euro lordi”.
A completare un quadro sconcertante è il fatto che l’Italia non abbia ancora approvato alcunché sul tema del salario minimo: una misura vigente in ben 22 Paesi Europei su 27, che ovunque sia stata adottata ha portato benefici tanto per i lavoratori quanto per l’economia statale, in termini di occupazione e di Prodotto interno lordo.
Una situazione inaccettabile oltre che paradossale per un Paese che basa la sua Costituzione sul diritto al lavoro.
30 maggio 2025