Quando accade così, quando uno scandalo tocca un prodotto agroalimentare, succede che in una mezza giornata tutte le buone iniziative, tutti gli sforzi profusi nel tempo, tutti i successi raccolti rischiano di passare in secondo piano, come destinati a svanire nel nulla, quantomeno per l’amplissima fascia di consumatori che non segue i convegni e le fiere del food né le sponsorizzazioni di famosi chef. Ed è un peccato, un peccato davvero, perché il consorzio s’era prodigato in tutti i modi negli ultimi mesi, a tenere alta l’immagine del latticino più famoso che c’è. Impegnato, in Italia e all’estero, assieme a tanti addetti ai lavori – giornalisti, editori, blogger, cuochi, degustatori, e chi più ne ha più ne metta – per rilanciare l’immagine del proprio prodotto, più e più volte colpito da fatti di cronaca che con il cibo non dovrebbero avere a che fare.
Un peccato davvero, per il Consorzio della Mozzarella di Bufala Campana Dop, ma a guardar bene anche – o ancor più – per i consumatori, che ad ogni notizia del genere si ritraggono – giustamente – dall’acquistare, si spostano su altri prodotti “analoghi” (credendoli erroneamente alla stessa altezza), si allontanano da quell’eccellenza rappresentata da tanti produttori onesti, e ripetutamente compromessa nell’immagine (non è la prima volta) da pochi e sporchi malfattori.
E pensare che venerdì scorso, 31 maggio, era la giornata dell’assemblea annuale dei soci, tenuta per il secondo anno consecutivo all’interno di un bene confiscato alla camorra (“oggi sede del Centro Nazionale di Formazione del Corpo Forestale dello Stato”, sottolineava il consorzio in un suo comunicato stampa), e davvero peccato che in quello stesso giorno e ad opera proprio del CFdS sia deflagrato l’ennesimo scandalo. Una beffarda coincidenza certo, che però è stata capace di oscurare quanto di interessante in quella sede era stato discusso dagli esponenti del consorzio e dalla partecipe assessora all’agricoltura Daniela Nugnez.
Ma veniamo ai fatti, perché la notizia è rimbalzata dalle agenzie ai giornali e ai telegiornali, riportata spesso parzialmente, e presentata a volte più con il taglio tranquillizzante del “non ci sono problemi per i consumatori” che non attraverso la gravità dell’episodio, né mettendo in luce le gravissime responsabilità di uno dei produttori legati al Consorzio (a proposito: perché non ci fanno sapere il nome di questo criminale e della sua azienda, e perché il consorzio non lo espelle per risolvere il problema alla radice?).
I fatti
In sostanza, nell’ambito di un’attività investigativa delegata dalla procura di Santa Maria Capua Vetere sull’accertamento della qualità e della salubrità degli alimenti derivati dal latte di bufala, il Corpo Forestale dello Stato (Comando Provinciale di Caserta e del Nucleo Agroalimentare e Forestale di Roma, ndr) ha sequestrato, giovedì scorso, la bellezza di centottanta capi bufalini in due allevamenti del casertano, in un’operazione denominata “Bufale sicure”. «Il sequestro», ha spiegato il Procuratore Aggiunto Raffaella Capasso, «si è reso necessario a seguito della scoperta, per la prima volta, di un ingegnoso e illegale sistema di mascheramento della brucellosi ai danni della salute pubblica e del consumatore».
I controlli della Forestale hanno infatti evidenziato che i capi di bestiame poi sequestrati erano stati sottoposti alla somministrazione di dosi massicce di vaccino, servito per “coprire” la presenza della malattia infettiva nel corso di eventuali controlli sanitari. La frode era finalizzata ad evitare l’abbattimento dell’animale infetto (come previsto dal programma europeo di eradicazione della brucellosi, per eliminare il rischio di infezione). La conseguenza dell’illecito espediente è stata quella del passaggio del batterio della brucella dall’animale al latte prodotto, con pericolo di contaminazione per il consumatore.
«Per evitare inutili allarmismi», ha poi proseguito il Procuratore, «occorre precisare che la brucellosi normalmente viene eliminata con la pastorizzazione del latte. Non può però sottacersi che questo sistema criminale, sin quando smascherato, ha favorito la permanenza del batterio negli allevamenti e negli altri luoghi di lavorazione del latte infetto, mettendo in pericolo di contaminazione gli operatori che manipolano il latte prima della pastorizzazione».
Le bufale sequestrate saranno sottoposte a uno speciale protocollo operativo, che sara’ gestito dall’Istituto Zooprofilattico di Teramo, centro specializzato per la prevenzione della brucellosi.
Dall’analisi approfondita di oltre ottocento campioni di sangue prelevati da altrettante bufale, è poi emerso che il vaccino era stato somministrato agli animali (alcuni dei quali trovati affetti da brucellosi) in età adulta, malgrado l’Unione Europea consenta, la somministrazione di vaccino solo alle bufale tra i sei e i nove mesi di età e nel rispetto di protocolli, gestiti dalle autorità sanitarie locali.
«Lo scopo degli allevatori incriminati», ha sottolineato il procuratore, «era l’occultamento dell’infezione da brucellosi, la quale, in presenza del vaccino, non può essere rilevata con il metodo tradizionale di analisi, normalmente utilizzato in Italia e all’estero. Doppio è stato il danno perpetrato dagli allevatori, sia alla salute, sia all’economia: i titolari dell’allevamento non solo nascondevano la malattia infettiva delle bufale, eludendo i controlli messi in atto dalle autorità sanitarie nazionali a partire dall’anno 2000, ma dopo aver sfruttato fino allo stremo gli animali per ricavarne quanto più latte possibile, procedevano al loro abbattimento, al solo scopo di percepire i contributi previsti dall’Unione Europea». Sin qui i fatti, e scusate se è poco.
Conclusioni
Di fronte a cotanta gravità della vicenda, è giunta, laconica, la presa di posizione del direttore del consorzio, Antonio Lucisano, che all’Ansa ha dichiarato che «la nostra mozzarella è sicura e l’inchiesta della Forestale è l’ennesima dimostrazione che in Italia esistono controlli che in altre parti non ci sono».
“Lucisano”, rende noto l’agenzia stampa, “fa sapere che sarà quasi certamente escluso dal Consorzio di tutela l’imprenditore titolare dei due allevamenti“ (ma come sarebbe a dire “quasi sicuramente”?). Peccato che su questo non ci sia certezza, come neanche c’è sul nome del produttore, che poi in sostanza è quello che i consumatori vorrebbero – e dovrebbero – sapere. La logica di chi prende decisioni su cosa sia bene fare in queste situazioni pare essere, ancora una volta, quella di tutelare l’economia produttiva, i posti di lavoro di tanti dipendenti e collaboratori (qualche decina di persone) piuttosto che il diritto di milioni di persone di evitare di consumare i prodotti di malfattori (quante frodi sulla nostra pelle compiranno ancora, lor signori, rimanendo impuniti e quante volte ancora senza incidere sulla nostra salute?), oggi non gravi per la salute pubblica, e domani chissà!
«Stiamo controllando la situazione», ha aggiunto ancora Lucisano, «ma appena gli inquirenti usciranno dal riserbo che comprendiamo e ci comunicheranno il nome dell’azienda, attiveremo il nostro codice etico, essendo l’unico Consorzio in Italia ad averlo». «Purtroppo», ha poi concluso il direttore del consorzio (e questa non l’abbiamo davvero capita, ndr), «per noi è possibile solo togliere la qualifica di socio, ma non evitare che l’azienda continui ad usare il marchio Dop. A tale proposito è competente l’Istituto Centrale di Qualità del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, che potrà però pronunciarsi solo dopo gli accertamenti eseguiti dall’organismo privato Dqa (Dipartimento qualità agroalimentare)».
A noi sembra davvero inquietante vedere come in Italia certe cose si riescano a complicare, laddove due organi dello Stato – Corpo Forestale e Ministero – intervengono nella questione e l’ente di tutela (“tutela di chi?” ci verrebbe da chiedere) si affretta a dichiarare i suoi scarsi poteri, l’arma spuntata appare essere una società privata, nelle cui mani (ma vi pare normale?) ci sarebbero le sorti (o almeno una buona loro parte) del produttore-malfattore. E quelle della salute pubblica, di milioni di persone.
Una sola domanda s’impone, infine: non basterebbe far sapere alla gente qual è l’azienda responsabile di questi reati? Purtroppo la sensazione è che in troppi abbiano interesse a coprire i responsabili: ce lo fa pensare anche il fatto che un articolo apparso venerdì su un importante quotidiano è stato corretto dopo poche ore proprio nel passaggio che poteva aiutare ad individuare i malfattori: un’azienda “di grandi dimensioni” e che di recente ha fatto “un’importante campagna pubblicitaria”. Forse proprio per fare in modo che tante pessime mozzarelle venissero velocemente tolte dal mercato.
2 giugno 2013