Comparto bufalino diviso, tra liti interne e aria di secessione

 C'è ancora il latte di bufala, con i suoi derivati – Dop e non Dop – alla ribalta della cronaca di questi giorni. E ci sono le regioni incluse nel disciplinare di produzione della Mozzarella di Bufala Campania, che – come si sa – viene prodotta, seppur in piccola parte, anche nel Lazio, in Puglia e in Molise. 

Dopo la conferenza stampa con cui l'assessore all'agricoltura della Regione Campana Daniela Nugnes aveva sottolineato come «la delibera sulla trasparenza della filiera bufalina (approvata in Giunta Regionale Campana il 28 maggio scorso) mette a regime un sistema di tracciabilità totale» («con l'obiettivo di tutelare i consumatori e di garantire la leale concorrenza sul mercato, in uno dei comparti più importanti per l'economia regionale»), le reazioni non si sono fatte attendere, e sono principalmente arrivate dai territori non campani, che mai come ora hanno manifestato tanto forte desiderio di ambire ad un proprio marchio di tutela locale.

 

Un po' di dati saranno utili ora per capire dimensioni e proporzioni di un settore come quello bufalino, a partire proprio da quello campano, rappresentato da oltre 279mila capi (74% del totale nazionale), allevati in poco meno di millecinquecento aziende. E da una capacità produttiva che, nel 2012 è stata di 37mila tonnellate di Mozzarella di Bufala Campana Dop, per un valore di fatturato alla produzione di oltre 315 milioni di euro.

 

«Abbiamo ritenuto necessario», ha continuato la Nugnes, «estendere a tutti gli operatori della filiera lattiero-casearia bufalina che operano sul territorio la richiesta di aderire ad un sistema di tracciabilità attraverso la specifica piattaforma informatica sperimentale in dotazione alla Regione Campania», che si occupa della tracciabilità e della rintracciabilità dei sistemi agroalimentari regionali. Inoltre, «presso l'assessorato all'Agricoltura è stato istituito un tavolo tecnico a cui partecipano le organizzazioni professionali agricole (Confindustria, Confartigianato, Cna) e il Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana Dop, al fine di garantire il monitoraggio e il dialogo sull'argomento». Il tavolo ha ribadito l'importanza dell'adozione del sistema di tracciabilità, riconosciuto all'unanimità come uno strumento in grado di tutelare i consumatori dalle frodi, di assicurare trasparenza al comparto campano e che continuerà a lavorare in sinergia con la struttura. 

 

«Non dobbiamo dimenticare», ha proseguito l'assessora campana, «che la Mozzarella di Bufala Campana Dop viene prodotta per il 7% anche nel basso Lazio e per l'1% tra Foggia e Venafro. Tenendo conto di questo elemento, per garantire una omogeneità nel sistema di tracciabilità, proporrò agli assessori all'Agricoltura di Lazio, Molise e Puglia di aderire al nostro protocollo attraverso apposite convenzioni, così come previsto dall'articolo 15 della legge 241 del 1990 (e successive modifiche ed integrazioni) per rendere trasparente e tracciato l'intero sistema della produzione a marchio Dop».

 

«Essendo la Campania la regione dove si concentra la quasi totalità della produzione di mozzarella di bufala, sia essa Dop o meno», ha concluso la Nugnes, «ci siamo proposti per mettere a regime una forte governance del comparto. Chiederò al Ministero delle Politiche agricole di modificare la normativa vigente, per estendere all'intero territorio nazionale l'obbligo per tutti gli operatori della filiera bufalina di aderire ad un sistema di tracciabilità mettendo a disposizione la piattaforma informatica, e per consentire a quelle aziende di trasformazione che utilizzano esclusivamente latte idoneo alla produzione di Mozzarella di Bufala Campana Dop e che aderiscono ad un efficace sistema di tracciabilità che certifichi la provenienza delle materie prime lavorate, di produrre nel medesimo impianto anche altri formaggi o preparati alimentari». 

 

Tutto bene, certo, tranne un "contrattempo" che era nell'aria, e che aveva ripreso prevedibile vigore dopo l'ennesimo scandalo legato alla brucellosi della settimana scorsa, vale a dire la pressione concreta che diversi attori della filiera, sospinti proprio da alcune delle associazioni di categoria locali, stanno esercitando per trovare una loro dimensione produttiva indipendente.

 

E così, tanto dai territori del Basso Lazio quanto da quelli del foggiano, fioccano prese di posizione che reclamano "una valorizzazione diversa per il "made in Lazio"" e che perseguano "il duplice scopo di salvaguardare il reddito degli allevatori onesti" e di "assicurare ai consumatori (è la voce che si è alzata dalla provincia pugliese) le più ampie garanzie di una mozzarella prodotta dal buon latte dei nostri allevamenti".

 

Una corsa e uno sforzo contro il tempo quella della Nugnes e della sua Giunta, quindi, e contro chi oramai sente non più dilazionabile l'esigenza del distacco. Un sistema di tracciabilità della filiera bufalina, quello valido attualmente sul territorio della Regione Campania, per il quale la richiesta di estensione alle altre regioni della Dop verrà presto presentata al MiPAAF "per evitare importazioni di latte non Dop in area Dop" assieme alla domanda per la variazione del decreto sugli opifici separati per la mozzarella Dop. Una delibera quindi, quella di fine maggio della Regione Campania, che rischia di giungere fuori tempo massimo in pratica, proposta ad attori della filiera che ormai dimostrano a chiare lettere di non voler più ascoltare quanto giunge da una realtà lontana anni luce dalle garanzie che tanto i produttori onesti quanto i consumatori vanno cercando ormai da tempo, e da una settimana a questa parte con maggior determinazione.

 

Infine, e per puro dovere di cronaca, come se gli scandali non bastassero a compromettere una situazione già di per sé critica, arrivano ulteriori voci di aspre polemiche interne alla realtà campana, e sono quelle della Confagricoltura regionale e del direttore del consorzio Antonio Lucisano, che – per quanto con argomentazioni comprensibili – torna a soffiare sulla brace di una polemica di cui produttori onesti e consumatori farebbero oggi decisamente a meno.

 

È davvero tanto difficile quindi estirpare la malattia dal corpo del malato, anche quando è ben individuata e all'orizzonte si prospettano "amputazioni" forse insostenibili per un organismo già fortemente debilitato? Noi continuiamo a sperare di sì, ma l'impressione è, che per quanti medici siano al capezzale del malato e per quanto dica anche una parte della stampa non di settore, che il tumore abbia già sviluppato metastasi ormai fatali. Mai come oggi ci auguriamo di sbagliare.

 

9 giugno 2013