A leggere oggi il decreto legge sulla Terra dei Fuochi – varato martedì scorso dal Consiglio dei Ministri – c'è da chiedersi perché non sia arrivato dieci, o venti anni fa, quando già si parlava di sversamenti industriali altamente tossici, del cielo nero, per via dei copertoni bruciati, e di quell'odore acre che prende la gola mentre semina diossina nei campi, nelle case, nelle stalle. Perché delle tante voci che si levano oggi, sino a ieri non se ne sia sentita una dire alcunché.
Da allora, i casi di alimenti che abbiano superato il limite massimo di diossina ammesso per legge hanno conquistato le pagine locali e nazionali dei maggiori organi di stampa più e più volte, sino a giungere nel marzo del 2008 alla scoperta di diossina nel latte di bufala, al conseguente blocco delle importazioni da parte della Corea del Sud e del Giappone, ad un primo drammatico caso di crollo delle vendite e delle esportazioni.
Da martedì scorso, grazie al decreto legge, quindi, bruciare rifiuti diventa un reato penale. È una delle novità principali di un decreto legge che oltre ad essere tardivo appare generico: "chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati" – recita il testo – "ovvero depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate è punito con la reclusione da due a cinque anni". Per i rifiuti pericolosi, la pena prevista è da tre a sei anni, mentre "se i delitti sono commessi nell'ambito dell'attività di un'impresa, o comunque di un'attività organizzata, la pena è aumentata di un terzo". Inoltre, "se durante un'inchiesta si verrà a conoscenza di un interramento di veleni, di uno sversamento illegale, i magistrati informeranno direttamente le istituzioni locali in modo tale da provvedere immediatamente all'adozione delle iniziative di competenza".
Il provvedimento governativo prevede la mappatura delle aree interessate, questione critica (leggi qui) secondo Giovanni Balestri, geologo e consulente tecnico (da anni attivo nelle principali inchieste giudiziarie campane in materia ambientale) e stabilisce l'erogazione di 600 milioni di euro che si vanno ad aggiungere ai 300 resi disponibili dalla Regione Campania. Una cifra che dovrebbe essere più che sufficiente a delineare con esattezza il quadro della situazione: quali aree non recuperabili (da escludere alla coltivazione e alle attività produttive agroalimentari e in casi estremi da evacuare), quali bonificabili e come. Una mappatura che – a detta di Balestri – dovrebbe impegnare un mese di tempo, o poco più, se si lavorerà in maniera ottimale e che, di fatto, ha una sua anteprima non ufficiale nell'attività del blog laterradeifuochi.it (vedi la mappa qui sopra, e clicca qui per scoprire che l'area interessata è – ahinoi – più vasta di quanto molti dicano) che da anni raccoglie le segnalazioni dei cittadini, con testimonianze scritte e documenti video.
Dal canto suo il Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana dop non ha perso l'occasione per esprimere il proprio rammarico, attraverso le parole del suo direttore Antonio Lucisano, "nell'apprendere che il decreto legge sulla Terra dei Fuochi non prevede aiuti a sostegno dei tanti piccoli produttori", che stanno subendo una flessione delle vendite che oscilla tra il 30 e il 40%, con una perdita complessiva valutata in 20milioni di euro tra ottobre e novembre.
«La nostra», ha detto Lucisano, «è un'agricoltura fondata sulle eccellenze vere, autentiche che derivano da millenni di storia. Tutto questo è sostenuto da piccolissime imprese che non hanno possibilità di affrontare questa tempesta mediatica». «Forse non ci si rende conto», ha proseguito il direttore del consorzio dop, «che è indispensabile un supporto delle istituzioni sui reali requisiti di salubrità di questi prodotti e che è necessario un supporto economico per specifiche campagne di comunicazione. Nel nostro piccolo stiamo facendo delle cose ma è una goccia nel deserto e in un mare di diffamazione».
Inoltre, sempre Lucisano – intervistato dal sito consumerismo.it – ha voluto dissipare i timori di quanti pensino che le bufale possano nutrirsi di alimenti contaminati: «Le nostre bufale sono allevate all’interno di recinti chiusi», ha detto il direttore del consorzio, «dove vengono alimentate con una dieta rigorosamente stabilita dai veterinari, che prevede che il 50% sia fatta da foraggi provenienti dall’esterno e il restante 50% è mais che viene coltivato su territori che non sono questi della Terra dei Fuochi, quindi in commercio un prodotto assolutamente sano e sicuro» (per chi desideri approfondire sull'alimentazione delle bufale, qui è disponibile un corsivo del nostro Roberto Rubino, pubblicato nell'aprile scorso).
Quello che ci si augura, ad ogni modo, è che presto si faccia chiarezza e che la Campania Felix dei mille prodotti d'eccellenza riesca prendere le distanze, una volta per tutte e definitivamente, dalle allusioni di alcuni e – soprattutto – dai territori contaminati. E ancor più che a tante donne e uomini, e ai loro bambini venga restituito il diritto di vivere nelle proprie terre in futuro senza l'ombra di un'esistenza minata dagli interessi di pochi e ben noti criminali.
9 dicembre 2013