L’aberrante mondo del latte di soia, che ora chiede l’Iva al 4%

 Da qualche tempo, e con sempre maggiore frequenza, non passa settimana (quando si è fortunati) che non si venga colpiti da qualche messaggio – o peggio ancora da qualche appello – che ci richiama inesorabilmente alle "buone pratiche alimentari" raccomandate da qualche vegano, sempre più spesso con un sottofondo di morale animalista che dovrebbe indurci a sentirci, noi umani, naturalmente e da sempre onnivori, dalla parte del torto.

 

Sorvolando sul valore di certe raccomandazioni, sul tono – a volte da ultima crociata – e sulle aberrazioni che provenendo da certi pulpiti (molti di quei soloni impongono diete vegane ai loro cani e gatti, pur sapendoli carnivori, ndr) rendono il tutto più burla che affar serio, la questione che balza ai disonori della cronaca in questi giorni – e di cui vi riferiamo qui di seguito – tocca indirettamente ma inesorabilmente il mondo degli allevatori, già provato da mille problematiche.

Il mercato del latte (il latte di vacca, quello vero, già!), vittima di innumerevoli pressioni difficilmente sostenibili – dai costi gestionali in continua crescita, alla contrazione della domanda, al prezzo alla stalla che non sempre paga le spese – rischia di ritrovarsi in un prossimo futuro a dover fronteggiare un concorrente più forte, vale a dire con un prezzo più competitivo sul mercato, se solo i nostri governanti dovessero accogliere positivamente la petizione – lanciata giorni fa su Change.org e caldeggiata da vari siti web para-vegani – che chiede di ridurre l'Iva sul cosiddetto "latte di soia" dal 22% al 4%, ovvero di equiparare la tassazione di quel non-latte a quella dei generi di prima necessità.

 

Ora, al di là di quanto sia lecito considerare un tale prodotto indispensabile se non ancora realmente equiparabile al vero latte, la questione appare di barba caprina, legata com'è a quello sciocco vezzo per cui i fautori di quella bevanda si ostinano a indicarla come sostituto del latte (dal punto di vista nutrizionale non lo è affatto).

 

Lo scempio delle monocolture di soia

Purtroppo poi, se questo non bastasse, ben altra cronaca e di ben altro peso ci raggiunge in questi giorni, ed è quella che documenta una parte dello scempio ambientale, sociale ed economico che le monocolture intensive di soia hanno portato nel Latino America (soprattutto in Argentina, Brasile e Paraguay). Coltivazioni Ogm ad altissimo impatto sull'ecosistema (anche sulla fauna selvatica, che paga un prezzo drammatico, anche per mano di chi si dice amante e difensore degli animali) strettamente legate all'alta e crescente richiesta di soia, destinata tanto all'alimentazione umana (latte di soia, tofu, seitan) quanto agli allevamenti intensivi.

Il consumo di soia e derivati (pseudo-latte; tofu, seitan, etc.) ha un grave impatto sull'ecosistema. La fumigazione chimica è una pratica altamente diffusa nelle coltivazioni di soia che in Sud America hanno tolto spazio alle praterie e arrecato grave danno alla fauna selvatica

Per capire poi il problema sociale ed economico che deriva da una tale agricoltura e le trame lobbistiche che lo sostengono, basterà leggere il prezioso articolo di Filippo Fiorini, apparso sul sito web delLa Stampa di Torino lunedì scorso. Eloquente il suo titolo: "L’Argentina in crisi perde anche i suoi gauchos: Spazzati via dalla soia”. Il mondo del latte (vero), gli allevatori in crisi, i consumatori non-vegani (59,5 milioni nella sola Italia) e l'intero ecosistema profondamente ringraziano il popolo dei vegani, che di tutto questo manifesta di sapere soltanto ciò che lo interessa.

 

24 febbraio 2014

 

Per approfondire la vicenda della famiglia Canzani raccontata dal sito web delLa Stampa di Torino lunedì scorso, clicca qui (Pangea News)