Farinetti inaugura a Milano tra il verde (smeraldo) e i verdoni: chiede scusa alla Lega e incassa i milioni di Tamburi

altTutti ne parlano, tutti la vogliono (vedere), ma a qualche giornalista Oscar Farinetti l’ha già mostrata, in anteprima (aprirà domani, martedì 18 marzo), in un cantiere aperto in cui a colpire gli operatori dell’informazione generalista sono stati alcuni piccoli elementi, in parte significativi, in parte no, dalle quattrocento paia di scarpette da ginnastica (verdi, in tono con le colonne presenti all’ingresso, ma anche con la bandiera della Lega Nord) indossate dai commessi che vi lavoreranno, al palco. Un palco che rimarrà, a imperitura memoria di quel teatro Smeraldo che non c’é più (e la cui “riconversione d’uso scatenò non poche polemiche” già due anni fa, al circolare delle prime voci) e su cui domani saliranno Dario Fo e forse Adriano Celentano.

Stiamo parlando della sede milanese di Eataly, la creatura di Oscar Farinetti, così diversa da ogni altra Eataly e così uguale a tutte le altre per la determinazione del suo fautore a sorprendere con gigionesche boutade una stampa (quasi) sempre pronta a stupirsi, e troppo spesso a proporlo ai lettori come l’imprenditore di successo. O come l’uomo da ammirare per avercela fatta, mescolando un format di vendita che sembra – più di quanto sia – superiore ad altri nella proposta, ma che in fin dei conti ha già dimostrato ampi limiti – nei banchi di frutta e verdura tutt’altro che memorabili, nell’assiepamento, nella confusione e nel servizio eccessivamente informale dei suoi ristorantini (in cui il vociare complessivo non ti induce a ritornare) e nelle casse di birra Peroni, che assieme ad una parte della proposta tutt’altro che originale (non sono pochi i prodotti presenti in qualsiasi altro supermercato), offre a chiunque l’opportunità di arrivare alle casse con qualcosa nel carrello.

 

Ancora una volta Oscar ce l’ha fatta, a far parlar di sé forse oltre i suoi meriti, avendo in sé molto ben chiare le “istruzioni per l’uso” dei media e dei giornalisti, che tra l’articolo di alleggerimento, quello di colore e l’altro che s’intreccia con la politica, trovano il modo, di tanto in tanto, di parlarne dalle pagine di economia e finanza. Come nei giorni scorsi, quando le maggiori testate del Paese hanno annunciato l’acquisizione di un 20% di Eataly da parte della merchant bank Tamburi (leggi qui e qui), necessaria – ha spiegato lo stesso Farinetti – a creare i presupposti per una futura quotazione in Borsa, ma anche per portare in azienda un tesoretto – 120 milioni di euro – che di questi tempi non guasta certo, visti i ripetuti e ingenti esborsi finanziari attuati e da attuare (si parla dell’apertura di un Eataly-2 nella capitale, nell’underground dell’hotel Boscolo, a piazza della Repubblica) che richiedono una forte liquidità.

 

Ancora poche ore quindi e chiunque potrà vedere con i propri occhi quanto l’istrionico patron di Eataly ha saputo confezionare per i milanesi tutti. Certo, un pensiero in più per chi guida il Pirellone c’è stato, da parte dell’Oscar più famoso d’Italia, ed è stato per il presidente Roberto Maroni, a cui l’imprenditore albese ha rivolto pubbliche scuse, venerdì scorso, per non essere stato di parola. Vale a dire per non essersi limitato ad aprire una kebaberia, secondo la provocatoria promessa da lui fatta nel caso di vittoria della Lega Nord alle ultime elezioni regionali. Commentando la cosa con la stampa, Farinetti si è lanciato in un’affermazione più di facciata che di sostanza, che però la dice lunga sul personaggio: «Non vedo l’ora», ha affermato l’imprenditore renziano, riferendosi a Maroni, «di diventare suo amico e suo simpatizzante». Chi è un po’ navigato sa che negli affari, soprattutto ad un certo livello, non si guarda troppo per il sottile. Quindi Renzi non se la prenderà più di tanto se d’ora in avanti il suo fornitore di panini preferito sarà un po’ meno renziano di prima. La politica è anche questa, e – lo affermiamo da sempre – purtroppo passa anche nel piatto in cui si mangia.

 

17 marzo 2014