Le favole di Farinetti, tra marchi da rifondare e vertenze sindacali

Tra l'inaugurazione di un supermercato e una delle non poche apparizioni televisive, il personaggio più in vista del mondo enogastronomico – Oscar Farinetti – dimostra, giorno dopo giorno, di amare come pochi altri le luci della ribalta. Prim'attore in una società che premia più l'apparenza che la sostanza, l'uomo che dieci anni fa andava sottobraccio a Carlin Petrini per significare al mondo quanto "buono, pulito e giusto" fosse il suo progetto eataliano, ha da oltre due anni (apertura dei sedicimila metri quadrati di supermercato a Roma) surclassato il suo storico mentore. Se prima parlando di cibo di qualità il pensiero andava inevitabilmente a Slow Food e al suo primo artefice, oggi l'immaginario collettivo è portato a pensare a "lui" come al moderno vate di un mondo che cerca nel cibo un appagamento a volte non ottenibile altrove.

Un mondo che spesso, troppo spesso, firma una delega in bianco ad un uomo e ai suoi interessi, azzerando un senso critico che, quantomeno da parte della stampa – quella di settore e non – dovrebbe rimanere alto, guardingo. E sì, perché nel suo fare e nel suo dire, il patron di Eataly ne inanella una dopo l'altra di boutade, di spacconate, di inesattezze, che a guardar bene non sono mai gettate lì a casaccio, o a titolo gratuito.

E quel che è peggio, lasciatecelo dire, è che alla quasi generalizzata accondiscendenza dei media (chi cerchi spunti critici segua IlFattoQuotidiano e Lettera43, ndr) per il personaggio, si accompagna da qualche tempo il palese asservimento di molte realtà accademiche: dal docente che per qualche sua ragione ostenta di essergli amico all'istituto che gli concede una laurea onoris causa (quale causa, la sua?), all'Università che organizza per i propri neolaureati una "lectio brevis" basata, se non sulla mistificazione, quantomeno sull'errore.

È accaduto a Treviso giorni fa (leggi qui) infatti che l'Oscar più famoso d'Italia abbia parlato ad una folta platea di studenti di marchi di protezione (Dop, Igp, Stg, Doc e soprattutto Docg) come se essi fossero nati in Italia e per l'Italia, e della necessità di accantonarli, nell'intento palese di spianare la strada alla sua malcelata idea di un marchio di tutela proprio: una mela tricolore di cui Farinetti va parlando da un paio d'anni come garanzia mondiale del "suo" buon "made in Italy".

Per quanto stampa e mondo accademico gli stiano servendo tutto il necessario per apparire credibile, appare molto difficile, se non del tutto improbabile che l'Unione Europea, che il sistema dei marchi di protezione ha creato e protetto (la legislazione comunitaria vieta categoricamente la creazione di altri marchi di tutela e garanzia, ndr), possa concedere a qualcuno – per quanto famoso esso sia – la facoltà di lanciarsi in un'operazione di tale fatta.

E mentre la mela di Farinetti rischia di rimanere acerba, sull'albero della strategia di marketing del "nostro", le prime mine alla credibilità e alla popolarità dell'imprenditore affiorano in questi giorni all'interno dei suoi stessi supermercati. E così, dopo che da Roma a Firenze a Milano sono rimbalzate voci sulla precarietà dell'impiego che caratterizza l'azienda (si parla di lavoro interinale a poco più di mille euro al mese, e di straordinari ricompensati assai poco: leggi qui e qui), nella dotta Bologna i lavoratori hanno incrociato giorni fa (per un'ora) le braccia per difendere un proprio collega licenziato senza giusta causa (leggi qui e qui), e stanno minacciando di farlo ancora il 1º di maggio, per l'intera giornata.

La decisione di far coincidere i fermi lavorativi in giorni classicamente festivi appare come l'ultima concessione possibile prima che si palesi in maniera più evidente la cosa. La Cgil locale, che ben sa quali siano i giorni non festivi di maggior affluenza (in genere i sabato) pare determinata ad operare un'azione a oltranza, e il braccio di ferro bolognese, qualora vinto dalla sigla sindacale e dai lavoratori, rappresenterebbe il precedente per portare a frutto il diffuso malcontento che starebbe caratterizzando i dipendenti e i collaboratori tutti della società.

Mentre Farinetti lancia il suo impraticabile attacco alle sigle che dovrebbero garantire il buon cibo e il buon vino, un'altra sigla, stavolta sindacale, rischia di far saltare una parte dei piani di chi vorrebbe far quadrare un'equazione che mai potrà quadrare: quella di voler conciliare la qualità con le quantità, i grandi volumi con il buono, con il pulito e con il giusto.

28 aprile 2014