Hanno un gran bel da fare per togliersi di dosso il fango delle loro stesse azioni, i responsabili di Peta (People for the Ethical Treatment of Animals), l'organizzazione statunitense che tanto bene promuove a parole la difesa degli animali e che tanto in basso è caduta per lo scandalo che ha visto i propri vertici implicati nella sistematica soppressione di oltre 35mila cani, sterminati in veri e propri centri della morte tra il 1998 e il 2013.
Per denunciare i crimini di Peta, lo statunitense Ccf (Center for Consumer Freedom) ha creato un sito web (clicca qui) che documenta nel dettaglio ogni accusa contro i "falsi amici degli animali", che alle spalle di un popolo di creduloni e grazie alle campagne mediatiche lanciate grazie personaggi del mondo dello spettacolo (un classico: l'attrice nuda con pelliccia grondante sague, ndr) hanno creato un vero e proprio business costruito sulla menzogna.
Bene, anzi male, visto che Peta trova ancora oggi spazio sui media di mezzo mondo, proseguendo nelle speculazioni strumentali che ne hanno contraddistinto la propria azione speculativa: a favore degli animali e contro ogni forma di crudeltà (la solita solfa animalista, ndr) tranne le loro.
A far parlare dell'associazione statunitense stavolta è l'ultimo bieco attacco contro il mondo del latte, accusato (l'ipotesi ha fondamenti scientifici, riferiti però alla produzione industriale, ndr) di essere una delle cause scatenanti dell'autismo. Come al solito chi accusa spara a zero contro ogni latte, senza curarsi del fatto che i latti a rischi sono – e siamo i primi a sostenerlo – quelli prodotti dalle vacche iperproduttive, "costruite" a suon di genetica e sostenute a colpi di alimentazione "spinta" per massimizzare le rese.
E così, dopo la storica campagna "Got pus?" (Gradisci del pus?) in cui lo slogan veniva associato all'immagine di un bicchiere di latte, l'ultima azione lancia il claim "Got autism", subito contestato in patria per essere basato su studi scientifici rapidamente confutati da larga parte del mondo scientifico (leggi qui).
Il peggio è, per noi italiani, che la notizia sia stata già rilanciata con il solito fare speculativo da alcuni siti web che strizzano l'occhio al mondo vegan (enormi gli interessi dei mercanti di cibi e prodotti "alternativi", a cominciare dalla soia, ndr). Tra questi GreenStyle la gioca sporca sin dal titolo, che al lettore credulone suonerà come oro colato: "Il latte provoca l'autismo. Peta nella bufera". Leggendo l'articolo – se così vogliamo chiamare un testo scritto per così evidenti e discutibili finalità – si capirà che la prima parte del titolo (sino al punto) avrebbe dovuto essere compresa tra virgolette, per significare la paternità dell'associazione pseudo-animalista statunitense e la relazione tra quell'affermazione e la "bufera" che essa ha generato. In mancanza di virgolette, e per i non pochi lettori che si accontentano del titolo, da domani sarà pronta l'ennesima corbelleria da raccontare in coro al mondo degli onnivori (e dei vegetariani, che il latte consumano).
Purtroppo, e non solo in Italia, la libertà di espressione sconfina spesso nella licenza di seminare mala informazione, e in questo si evidenziano sempre più soggetti che hanno fatto dell'equivoco a fin di lucro una vera e propria specializzazione criminogena a bassissimo rischio.
Si salvi chi può: tra qualche settimana centinaia di stupidi invasati prenderanno a raccontarci dell'ennesimo crimine generato dal mondo del latte, senza peraltro preoccuparsi dell'abisso tra un latte industriale e un latte rurale.
3 giugno 2014