Sicurezza alimentare: per la stampa estera esiste un ”caso Italia”

Pannocchia di mais colpita da aflatossineNella vicenda del Parmigiano contaminato da aflatossine la cronaca è ormai nota ai più, ma sono la scena nel suo complesso, i suoi attori, e il contorno che essi hanno, a meritare di venir presi oggi in considerazione. In grande considerazione. Da prospettive diverse, in questi ultimi giorni, il mercato interno e quello estero hanno dimostrato di avere due visioni assai diverse della stessa situazione. Per nulla miope chi ci osserva da lontano, e con una visuale naturalmente più ampia; troppo spesso presbiti noi, che il "made in Italy" (il made in Italy d'oggi) lo abbiamo forse troppo vicino per capirlo davvero, e nel suo complesso (leggi qui).

Se in Italia sembra rilevante la pratica del minimizzare, fatta propria ancora una volta da un consorzio e dal ministero agricolo (l'obiettivo è quello di non terrorizzare i consumatori, sennò – poverini – come fanno a consumare?), chi ci osserva da fuori pare avere un implacabile pallottoliere – oltre che una buona memoria – laddove si vedono emergere accostamenti (alla mozzarella: leggi qui) che mai faremmo nel nostro Paese.

Dopotutto, si dirà in casa nostra, il Parmigiano è Parmigiano, e la mozzarella è mozzarella. Mentre per chi vede nell'uno e nell'altro due tasselli del meraviglioso affresco del "made in Italy", diventa inevitabile associare e confrontare i casi, trovarne i comuni denominatori e arrivare a conclusioni forse più taglienti e reali. Quantomeno rispetto a chi, in Italia, fa semplice cronaca, limitandosi a riportare i comunicati ufficiali, senza una visione né critica né storica di un insieme (ancora una volta attenderemo l'ennesima inchiesta dell'Espresso, per sentirla poi contestare da mille candide verginelle, ndr).

Analisi del latte - foto Iucju©

Il ruolo di "certi" laboratori

Tagliando corto sulle singole cronache di questi giorni e sugli elementi messi più o meno in evidenza dalle varie testate del mondo intero (ne hanno scritto persino alle Hawai, e pressoché tutti riprendendo una fonte Ansa/Associated Press), il punto cruciale su cui mettere a fuoco la situazione (che – se non generalizzata – pare quantomeno diffusa) è il ruolo che nella produzione agroalimentare italiana assumono alcuni laboratori (privati) di analisi. Osservando e confrontando vari casi degli ultimi anni, appare evidente come alcuni di questi studi professionali si siano ricavati una sorta di "specializzazione" nel "ripulire", a loro rischio e pericolo, situazioni di criticità ormai diffuse nei sistemi produttivi intensivi (non solo aflatossine, ma anche clostridi – leggi qui – e diossine, tanto per dire le principali). Tanto, cosa volete che sia?: a volte basta spostare una virgola in un certificato per far quadrare i conti, e intascare la parcella (arrecando però un grave danno alla salute pubblica, ndr).

Tanto in questo caso come nella recente vicenda della mozzarella Cantile (ma anche nel caso di Latterie Friulane), al centro dei sistemi criminali appaiono tecnici di laboratorio, analisti e – più in generale – colletti bianchi. Non c'è l'ignoranza del contadino che perpetra in proprio la truffa, né la semplice determinazione di imprenditori ad operare nell'illecito, no. Sullo sfondo della scena emergono palpabili le preoccupazioni degli allevatori, le paure, e troppo spesso le angosce di chi gestisce aziende vicine al collasso. Aziende che di fronte a mali estremi sono disposte praticamente a tutto: a fregarsene della salute dei consumatori (un'entità astratta?) e meno che meno al prestigio di quello che un tempo tutti chiamavamo "Re". 


"Mors tua, vita mea"

Cosa volete che interessi all'allevatore se il silomais (ma non era vietato dal disciplinare del Parmigiano? pdf 725kb) che costa meno ha (probabilmente) aflatossine oltre la soglia di tolleranza? L'importante per lui è che arrivi con uno straccio di documento che attesti il contrario. Cosa volete che importi a lui, che nel cuore ha mille angosce, e in testa solo i problemi della propria azienda? La scelta per lui non esiste; non può esistere: lui acquista quel che può, tanto poi c'è l'"amico" tecnico che nasconderà le stesse aflatossine dal latte. O per meglio dire dalle analisi del latte, tanto poi il formaggio caglierà come tutti gli altri.

E, al di là dei controlli, operati a campione, cosa accadrà là fuori, sul mercato, alla gente? Accadrà che i più assidui consumatori di latte, e di formaggi (da zootecnia intensiva) rischieranno – nei casi più "sfortunati", certo – un tumore al fegato (le aflatossine sono altamente cancerogene, ndr). Eccoci al punto quindi: è nel mors tua vita mea che appare compiersi l'illecito diffuso e quotidiano dei sistemi produttivi legati a molte produzioni basate su silomais e mangimi.

Come non preoccuparsi?

È per questo che a noi stride quel messaggio reiterato in questi giorni dalla stampa nazionale, che ad ogni cronaca insiste nel raccontarci che "non c'è da preoccuparsi, che il sistema dei controlli in Italia funziona". Come ai tempi della scuola, la poesia appare imparata a memoria, e a memoria poi detta, tanto dal ministro Martina quanto dalla collega Lorenzin, che di salute dovrebbe occuparsi, e poi e poi dai vari personaggi della Coldiretti, oltre che – naturalmente – dal consorzio di tutela.

Eppure basterebbe scavare appena un poco sotto la crosta per scoprire che la ricerca scientifica da mesi ha lanciato l'allarme: il latte (quello industriale, si badi bene, quello che nasce negli allevamenti intensivi, dove l'alimentazione può nascondere insidie) di oggi può far male. E parecchio.

Poi certo, se si va ancora un poco più a fondo, si scopre, più nello specifico, che la questione aflatossine aveva toccato già il Parmigiano anni fa. Accadde in Brasile, dove nel 2008 (Minha Gerais) si registrarono dei casi e dove ancora in seguito, all'inizio di quest'anno (a marzo, a Rio de Janeiro), la ricerca scientifica ha dedicato approfonditi studi condotti dai locali istituti tecnici e università.

In uno scenario così poco confortante, altro non ci resta da fare che attendere ulteriori sviluppi dalle indagini in corso, sia sulla reale distribuzione del prodotto oggetto del sequestro (leggi qui, in lingua tedesca) sia sull'organizzazione criminale che il reato ha compiuto (sempre dalla stampa tedesca: leggi qui).

Oggi più che mai è il momento di saper scegliere

Ancora una volta ma con un buon motivo in più, se cercate un formaggio da mangiare in santa pace, d'ora in avanti, rivolgetevi a chi ne produca nella dimensione della zootecnia estensiva. Con i prodotti di animali al pascolo, ma anche con il bio "vero" e con il Parmigiano di montagna (pare averlo capito la consigliera verde emiliana Gabriella Meo, leggi qui), con i formaggi di alpeggio e transumanza, difficilmente si potrà sbagliare.

23 giugno 2014