Il Salvagente: dalla parte dei consumatori “disinformati”

Il numero del Salvagente che denunciò la presenza di acqua nel Latte Nobile

1 giugno 2009 – Il Salvagente è, come esso stesso ama definirsi, un “settimanale dei consumi, dei diritti e delle scelte”, diretto dal valente Rocco Di Biasi. Chi lo abbia acquistato giovedì scorso in edicola e sappia qualcosa del mondo caseario sarà rimasto però di stucco, di fronte a tante inesattezze contenute in un solo articolo, dedicato ai limiti del mondo delle Dop.

Onore al merito della redazione, certo, per aver deciso di trattare in maniera critica il troppo osannato marchio di protezione e un plauso all’autrice dell’articolo – Giorgia Nardelli – per aver intervistato alcuni dei maggiori esperti del settore come Roberto Rubino dell’Anfosc (Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo) e Piero Sardo della Fondazione Slow Food per la Biodiversità. Peccato però per le imprecisioni che hanno infarcito il pezzo, toccando realtà importanti come Bitto, Castelmagno e Mozzarella di Bufala Campana, tanto per citarne alcune.

Il primo dei tre, presentato come un formaggio prodotto ormai tutto l’anno (“un tempo venivano prodotti solo da maggio a ottobre, quando le vacche erano in alpeggio”), continua, com’è noto, ad essere prodotto solo in alpeggio, ma con i produttori aderenti al consorzio che possono alimentare le mucche a mangimi e trasformare il latte utilizzando i fermenti lattici.

“Leggerezza” di sapore storico, invece, per il Castelmagno. Una volta prodotto solo in alta montagna, da latte del tutto diverso da quello odierno, e che per una serie di magiche combinazioni (la sana igiene di una volta, quindi caseifici meno “sterilizzati” di oggi, e una pressatura inferiore a quella praticata oramai dai più) riusciva ad erborinare naturalmente. Erano altri tempi e le poche forme di quel formaggio (allora destinato principalmente all’autoconsumo) raggiungevano le tavole di pochi e veri intenditori e sapevano di fiori ed erbe di campo, di “muffe nobili”, e in alcuni casi di stallatico (alcuni clienti chiedevano di lasciar maturare le proprie forme in stalla). Beh, tutto questo è stato ingiustamente liquidato dall’articolo come “troppo saporito e troppo stagionato per incontrare i gusti del consumatore moderno”, quando il problema reale è che oggi se ne fa una quantità estremamente maggiore rispetto a quella di un tempo, dovuta all’allargamento dell’area di produzione che aprì le porte a operatori estranei a quel mondo, che oggi quel formaggio lo fanno come possono, sempre bianco come un lenzuolo e il più delle volte gessoso da morire.

Dulcis in fundo, il pezzo ci regala la perla del “fischi per fiaschi”, a proposito della Mozzarella di Bufala Campana. Un paradosso, perché le traversie che stanno accompagnando il prodotto avrebbero potuto offrire molte opportunità al racconto (dalla diossina alla brucellosi, alla somatropina, alle cagliate d’importazione), e quella citata, la destagionalizzazione (d’inverno il latte è migliore e ce n’è maggiore disponibilità, mentre d’estate è la richiesta che cresce), non è che uno degli aspetti da trattare.

Pur concentrandosi quindi su uno dei problemi che affligge il latticino più famoso del mondo, l’articolo racconta del tentativo che il Consorzio sta attuando per modificare ancora una volta il disciplinare: “i casari…”, scrive la Nardelli, “potrebbero congelare il latte estivo, il migliore, e utilizzarlo nella lavorazione invernale”. Giusto l’esatto contrario di quel che capita realmente.