Si mantengono sempre alti i contrasti all'interno della complessa realtà della Mozzarella di Bufala Dop, tra il buon fare del consorzio e il variegato mondo dei soci produttori. Da una parte le incessanti attività di tutela della qualità del prodotto – e della promozione – per sostenere il buon lavoro di moltissime Pmi associate e per rassicurare i consumatori sulla bontà e la rintracciabilità del "re" dei latticini; dall'altra – ancora una volta – il fare sempre più spavaldamente "controcorrente" del leader tra i produttori casertani, il numero uno tra quelli che giostrano e muovono le fila del comparto a livello industriale e dei consumi.
Encomiabile, sul fronte della formazione e dell'informazione è l'attività dell'ente, che nei giorni scorsi ha messo a punto un bel programma di approfondimento rivolto ai propri soci allevatori e trasformatori per illustrare le modalità di attuazione delle disposizioni previste all'articolo 4 del decreto legge 91. Ai due seminari, tenutisi a Salerno e Caserta e condotti dal responsabile dell'Icqrf (Istituto Controllo Qualità e Repressioni Frodi del MiPAAF) di Napoli, Antonio Raimondo, hanno preso parte numerosi soci, che hanno dato vita ad un interessante e partecipato dibattito, attorno al tema delle "Misure per la sicurezza alimentare e la produzione della mozzarella di bufala campana Dop", trattate nell'omonimo documento, scaricabarile (cliccando qui, pdf di 2Mb) dal sito web del consorzio stesso
Dall'altra la sfacciata spavalderia con cui Giuseppe Mandara (scarcerato per la seconda volta in due anni nel giugno scorso, dopo l'ultimo arresto avvenuto in maggio: leggi qui) cerca di far passare, attraverso l'ufficio stampa della sua Ilc La Mediterranea, che la mozzarella di bufala – dop o non dop – è bene farla localmente e ovunque sul globo terraqueo, per averla "fresca", ovviamente partendo da quel latte congelato di cui l'industriale caseario è grande fautore. Ad ufficializzare questa "brillante" soluzione sono arrivati dapprima gli accenni della testata web Gambero Rosso e poi i comunicati stampa pubblicati con evidente perplessità e "col beneficio d'inventario" dalla direzione del sito NewsFood (leggi qui). In sostanza l'azienda di Mandara ha pensato bene di sciorinare – mettendo nero su bianco attraverso il proprio ufficio stampa – una teoria che ci si aspettava portasse a qualche replica del consorzio, che invece bellamente e chissà perché ha taciuto e ancora tace.
La mozzarella "fresca" fai da te, realizzabile da chiunque e in tutto il mondo. Italia compresa
In sostanza, alla Ilc La Mediterranea, cercano di spiegare "Com’è nata l’idea della “mozzarella fai da te”… prodotto, che", assicurano i vertici dell'azienda, "sta già conquistando i mercati esteri e può rivoluzionare l’industria agroalimentare italiana".
La premessa addotta è quella secondo cui "la mozzarella di bufala campana dop e non dop, esportata all’estero, ha una conservabilità limitata strettamente legata alla tradizionalità della tecnologia di trasformazione. Il che rappresenta un punto debole perché dura poco sul mercato estero: dopo qualche giorno, il prodotto perde le caratteristiche iniziali assumendo quelle di formaggi non a pasta filata, tipo stracchino".
"Per essere presenti sul mercato estero", prosegue la Ilc La Mediterranea, "con un prodotto quanto più simile al prodotto tipico, è necessario quindi delocalizzare la produzione verso le aree interessate al consumo di prodotto fresco, cioè ottenuto da poche ore o da qualche giorno al massimo".
Bene, anzi male, perché "per realizzare tale obiettivo", l'azienda campana "ha ideato e messo a punto una strategia per ottenere, sui posti di consumo, il gustoso latticino per 365 giorni all’anno in ogni angolo del mondo sempre e rigorosamente fresco, come se fosse prodotto in Italia".
"Le tecnologie", continua il comunicato, sono state "elaborate con l’assistenza del prof. Francesco Addeo, allora docente universitario dell’Università “Federico II” di Napoli e direttore dell’Istituto di Scienze dell’Alimentazione del CnR di Avellino, sono di natura fisica e prevedono i seguenti passaggi: “pulizia” nello stabilimento del latte crudo di bufala; pastorizzazione; evaporazione sotto vuoto spinto in stabilimento diverso dal caseificio (come previsto dal Dpr 54/97); surgelazione rapida del latte in confezioni ermetiche; conservazione del latte surgelato".
Detto fatto: "Il latte di bufala concentrato congelato", spiegano alla Ilc La Mediterranea", "non è un prodotto finito ma costituisce la materia prima per la produzione di formaggio. Dopo opzionale e opportuna diluizione e miscelazione con i fermenti suggeriti dall’azienda, potrà essere sottoposto a lavorazione, sui luoghi di produzione estera, per ottenere un formaggio a pasta filata di bufala sicuro sotto l’aspetto igienico-sanitario".
Secondo i vertici aziendali quindi "l’intero processo tecnologico di ottenimento di latte di bufala concentrato, latte che rimane sempre allo stato liquido, soddisfa dunque interamente l’art. 2, comma 1, lettera b, del Dpr 54/97". Inoltre "il latte liquido scongelato" presenterebbe "le stesse caratteristiche del latte originale, solo è più concentrato". La ricetta è presto detta, visto che "esso viene portato ad un peso uguale o leggermente inferiore a quello iniziale per addizione di acqua potabile, preferibilmente addolcita, per essere avviato alla trasformazione. Operazione che riporta alla concentrazione iniziale i componenti naturali del latte (grasso, proteine, lattosio e sali)".
"Il prodotto finale diluito con acqua" sarebbe così "uguale al latte crudo fornito allo stabilimento fatto eccezione il trattamento di pastorizzazione e di termizzazione e presenta una reazione alla fosfatasi negativa. Questa caratteristica del latte – cioè fosfatasi negativa – è una condizione necessaria perché il latte possa essere esportato in tutti i Paesi del mondo".
La trovata del ''Buffalo mozzarella making mix''
Ma passiamo ora a vedere come la "soluzione" viene universalmente proposta dalla Ilc La Mediterranea alla clientela mondiale. È l'azienda stessa che entra nel vivo della narrazione tecnico-commerciale: "Essendo il latte pastorizzato, e dovendo essere preparato un prodotto comune a base di latte di bufala, è necessario utilizzare fermenti lattici specifici (che l'azienda stessa vende ai propri clienti, ndr), seguendo una procedura originale che l’azienda fornisce insieme con il “Buffalo mozzarella making mix”. Essa consiste nell’invio in loco di esperti e formatori, che produrranno – inizialmente a titolo dimostrativo – e poi a titolo industriale – un’ottima mozzarella di bufala fresca". Su questo concetto di "freschezza" noi – come di certo molti di voi lettori – abbiamo ben più di qualche umana perplessità.
Ed è proprio per venirci incontro – per farci capire quel che non capiamo – che il comunicato della Ilc La Mediterranea arriva a definire "il prodotto così ottenuto “fresco” per almeno due ordini di ragioni (prosegue la narrazione dell'azienda, ndr): 1. La mozzarella s’iscrive tra i formaggi freschi, molli, teneri, non stagionati e si differenzia dagli altri formaggi a pasta filata a pasta semi-dura (provola, scamorza, e altri) e dura (caciocavallo, provolone) per il suo maggior contenuto di umidità che arriva fino al 65%. 2. Si deve sempre ricordare che nel Dpr 54/97 (“le norme sanitarie per la produzione e la commercializzazione di latte crudo… e di latte destinato alla fabbricazione di prodotti a base di latte e di prodotti a base di latte destinati al consumo umano”) il “latte destinato alla fabbricazione di prodotti a base latte” viene definito nel modo seguente: “Il latte crudo destinato alla trasformazione è latte liquido o congelato ottenuto da latte crudo, sottoposto o meno ad un trattamento fisico consentito, quale un trattamento termico o la termizzazione, e modificato o meno nella composizione, purché la modifica sia limitata all’aggiunta o alla sottrazione dei suoi costituenti naturali”. In pratica, la procedura seguita dall’azienda".
"Quindi", conclude l'azienda, "quando si dice che la buffalo mozzarella della “Ilc La Mediterranea” è un prodotto fresco si vuole significare che essa appartiene alla famiglia dei formaggi a pasta filata e per il suo contenuto di umidità – compreso tra il 58 e 62% – deve classificarsi come un formaggio fresco e non come un formaggio a pasta semidura o dura – classi di formaggi a pasta filata con umidità percentuale nettamente inferiore".
I dubbi che permangono in noi sono molti: dovremo forse chiedere ai linguisti di riscrivere il significato di "fresco"? E poi, quanto tempo dovremo attendere per capire come il consorzio abbia accolto la tanta spregiudicatezza del suo socio produttore Mandara? Un prodotto del genere, se davvero così "simile" alla vera Mozzarella di Bufala Campana Dop, non va a saturare i mercati esteri che tanto hanno interessato e interessano il segmento "export" in cui la gran parte delle Dop si stanno rivolgendo per sopperire alla naturale flessione del mercato interno? La Mozzarella di Bufala Campana Dop farà eccezione?
Mai come oggi un silenzio ci è giunto tanto assordante.
15 settembre 2014