Nell’assemblea del Parmigiano c’è un fronte anti-Alai

Giuseppe Alai, presidente del Consorzio di tutela del Parmigiano ReggianoNel marzo di quest’anno fu forte il clamore attorno alle critiche portate dalle Coldiretti emiliane al Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano. Critiche che puntavano  il dito contro il presidente Giuseppe Alai, accusato di curare più gli interessi propri e di un ristretto giro di persone e società che una gestione consortile in grado di sostenere i produttori associati. Polemiche su polemiche, che si aggiunsero a quelle già sollevate da un articolo di Massimo Gramellini – un pezzo al vetriolo pubblicato il mese prima dalLa Stampa di Torino – e alle numerose denunce portate in sede di Consiglio Regionale e al Senato della Repubblica rispettivamente da Fabio Filippi, di Forza Italia e da Giorgio Pagliari, del Partito Democratico.

Come se questo non fosse bastato, nell’estate scorsa un grave caso di  Parmigiano Reggiano alle aflatossine aveva scosso l’opinione pubblica italiana e internazionale, sollevando dubbi su un disciplinare di produzione troppe volte discutibilmente rimaneggiato e sul ruolo svolto dal consorzio sul fronte del sistema dei controlli.

Mese dopo mese, dal manifesto ostracismo esterno – di certo non una congiura – al palese malessere degli associati, il passo è stato breve, passando ad un vero clima di dissenso diffuso, motivato, a quanto pare, anche dalle recenti manovre introdotte dal consorzio stesso (leggi qui), per completare il cosiddetto “Piano di regolazione dell’offerta per il Parmigiano Reggiano”. Nulla di cui stupirsi, quindi, se nell’ultima assemblea annuale, tenutasi mercoledì scorso 19 novembre a Reggio Emilia e chiamata ad esprimersi in merito al piano produttivo del 2015, 117 votanti su 380 si sono espressi contro (21 gli astenuti).

Ed è così che anche in sede assembleare le critiche son fioccate, serie e preoccupanti, in quanto provenienti da larghi strati di una base associativa che si dichiara delusa “per le promesse non mantenute e per i tagli obbligati dal calo dei prezzi di vendita del prodotto”. Tra le accuse che vengono mosse ad Alai, quelle più ricorrenti lo rimproverano di “aver gestito il consorzio come un ente politico” e della “mancanza di azioni e sinergie necessarie a far quadrare i bilanci”.

Infine – e anche qui non è cosa da poco – c’è da registrare la grave situazione in cui versa da tempo la controllata I4S, società ufficialmente incaricata della promozione del prodotto all’estero, che oltre al forte disavanzo (all’inizio di quest’anno due milioni di euro; leggi qui) opererebbe non in sinergia con i produttori che esportano, giungendo anche a contrapporsi al loro operato. Per sanare quest’ultimo increscioso e inspiegabile “capitolo”, il consorzio non avrebbe altro da fare – così sembra – che ridurre largamente gli investimenti pubblicitari nel corso del 2015.

Oltre ai non pochi dubbi rimasti sul tavolo, una prospettiva pare ora certa: alla prossima occasione il dissenso potrebbe verosimilmente assumere dimensioni assai maggiori di quelle espresse stavolta. Servono i fatti, oltre alle parole. La misura è colma: Alai e il suo gruppo di lavoro sono avvisati.

24 novembre 2014