Crisi del latte: i mass(obrio) media la raccontano per quel che non è

Venerdì scorso l'Italia che produce latte è scesa in piazza – in decine di piazze del Paese – per manifestare il grave e diffuso stato di crisi che sta falcidiando il settore. "Dall'inizio della crisi un'azienda su cinque avrebbe chiuso i battenti": il prezzo del latte alla stalla non copre più neanche le spese. Questo è ciò che hanno potuto vedere e sentire gli italiani, raggiunti in ogni dove dallo stesso identico (e vuoto) messaggio. Vedere e non capire, perché a nessuno interessa far capire cosa stia davvero accadendo. Troppe responsabilità, e nessuno che sia disposto a prendersene una.

In ogni piazza la stessa scena, come se il medesimo copione fosse stato messo in piedi da qualcuno con l'intento di dimostrare qualcosa e nulla più. Nei collegamenti televisivi organizzati da Milano, da Torino, Roma, Napoli e da ogni dove, in primo piano vacche tirate a lustro per l'occasione, un cronista, qualche comparsa e qua e là il personaggio famoso improvvisatosi mungitore per portare il proprio messaggio di solidarietà ad "un mondo" intero. Un mondo che mai come oggi si trova ad essere così lontano dall'immaginario collettivo di italiani che neanche conoscono più i profumi di un fienile e che di certo non sanno perché lo sterco della vacca, una volta risorsa, oggi è un refluo ad alto impatto ambientale.

Sullo sfondo di questi primi piani, i curiosi e i passanti – per lo più disinteressati – e tante, tantissime bandiere gialle. Ancora una volta Coldiretti scende in strada più per presidiare una sua presunta rappresentatività che per altro, più per autocelebrarsi, arrogandosi il diritto di sapere, che per spiegare agli italiani quel che gli italiani meriterebbero di sapere (il volumetto distribuito per l'occasione la dice lunga già dal vittimistico titolo: "L'attacco alle stalle italiane"), senza mai però andare a fondo nella questione. Ancora una volta nessun giornalista si prende la briga di guardare oltre i comunicati stampa e alle compiacenti interviste ai presidenti locali e nazionale, che dicono tutto e nulla, allo stesso tempo.

L'agricoltura, si sa, è da sempre terreno di scarso approfondimento e di tanta e vuota retorica. Dopo anni passati a raccontarci di una superiorità del "made in Italy" invero mai dimostrata (è superiore chi lavora secondo le buone pratiche zootecniche e il rispetto dell'ecosistema, a prescindere dal luogo in cui opera, ndr), dopo anni di censura televisiva più o meno eclatante sulla cruda realtà del mondo del latte (leggi qui, cosa accadde al nostro Roberto Rubino quando decise di dire le cose come stanno, intervenendo ad Uno Mattina di Rai Uno), è difficile oggi raccontare qualcosa di più a chi è stato "educato" a suon di servizi edulcorati e di telemarchette. In attesa che Bruno Vespa si organizzi con un plastico in studio per spiegarci tutti i retroscena di un epilogo non molto lontano, abbiamo cercato di vedere se almeno la carta stampata ha tentato una qualche analisi apprezzabile.

Oltre la vuotezza dei molti, e al di là della biasimevole ovvietà di non pochi, brilla (si fa per dire) chi nel giorno stesso della discesa in piazza della Coldiretti ha preso al balzo la palla per raccontarci, sulle pagine del quotidiano Avvenire, l'ennesima buona novella. Dai lontani ricordi del tempo che fu (l'infanzia in Piemonte, la parentesi milanese, e il ritorno alle terre d'origine), un Paolo Massobrio, che in verità la dovrebbe saper lunga, ci rivela dapprima la propria necessità di andare "in piazza Affari a Milano, per capire le ragioni di una protesta" (un giornalista così esperto, non dovrebbe conoscerle?) e di lì a poco (il pezzo è qui, per chi abbia voglia di leggerlo) ci parla delle (presunte) qualità di un latte "che fa" (farebbe?) "la differenza". Un latte in cui (ma anche questo Massobrio forse non lo sa) i casari sono costretti ad aggiungere lisozima per il timore dei gonfiori tardivi.

Ecco, finalmente una cosa ci appare un poco più chiara, adesso: la qualità di molto "made in italy", per quanto bassa, è pari – se non superiore – a quella di molta italica stampa.

9 febbraio 2015