Ancora una volta i giornali rilanciano comunicati stampa roboanti, che fanno delle cifre l'elemento forte dell'incipit: tre anni di sperimentazione, oltre cinquanta ricercatori e quindici centri di ricerca coinvolti, "tra i più significativi a livello nazionale". E poi nove unità operative specializzate ("igiene di filiera, benessere animale, miglioramento genetico, controllo di processo, nutrizione animale, qualità lattiero casearia, marketing, etc."), con un costo complessivo di 4,7 milioni di euro circa, "3,4 milioni" dei quali "provenienti da un contributo del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali".
Soldi come se piovesse, e ancora una volta piove sul bagnato. Mentre un mondo di allevatori, di piccoli e battaglieri produttori, di caseifici detentori di un'infinità di formaggi rurali e artigianali – uno diverso dall'altro – è allo stremo (loro di soldi ne vedono pochi, e da anni, leggi qui) il "mondo del Grana Padano" si autocelebra presentando – è accaduto sabato scorso 21 marzo a Sirmione, alla presenza del ministro Maurizio Martina – i risultati del progetto "FiliGrana", coordinato dall’Istituto Sperimentale Italiano Lazzaro Spallanzani e – ci tengono a precisarlo le realtà coinvolte – "interamente dedicato alla filiera del Grana Padano".
L'obiettivo? Quello di valorizzare una delle produzioni più industrializzate del nostro sistema lattiero-caseario. E di "incrementare ulteriormente il livello qualitativo del formaggio Dop più consumato al mondo e maggiormente prodotto nel nostro Paese". Numeri che suonano bene forse ad una lettura in superficie: "oltre 2,4 milioni di tonnellate di latte trasformato", vale a dire, spiegano gli organizzatori, "ben più del 20% del latte italiano. E il 50% del latte della zona Dop: Lombardia, Veneto, Piemonte, Trentino e l’emiliana Piacenza".
«Un progetto complesso», ha spiegato Ettore Prandini, presidente dell'Istituto Spallanzani (nonché di Coldiretti Lombardia) «che ci ha visti impegnati su più fronti durante questi anni per coordinare al meglio tutte le forze messe in campo e ottimizzare l’investimento finanziario. Siamo molto soddisfatti perché per la prima volta in Italia siamo riusciti a far dialogare e lavorare proficuamente insieme più soggetti di livello significativo del mondo della ricerca». «Sinergia, questa, non facile da ottenere», ha proseguito Prandini, «che ci ha consentito di arrivare a risultati utili a tutta la filiera del Grana Padano ed in primis al Consorzio di tutela che saprà leggere al meglio i dati emersi trasformandoli in azioni concrete in favore di una maggiore efficienza produttiva accompagnata da un ulteriore miglioramento qualitativo del prodotto».
«Ci sono due modi per manifestare la diversità di Grana Padano Dop dai similari», ha affermato il presidente del Consorzio di Tutela del Grana Padano Nicola Cesare Baldrighi, senza nominare apertamente né il Parmigiano Reggiano né Gran Moravia o altri formaggi consimili e lasciando a chiunque interpretare le sue parole a piacimento. «Uno è l’evidenza in etichetta dell’origine, l’altro è la qualità superiore percepita». «Il progetto FiliGrana», ha proseguito Baldrighi, «si muove per fornirci tutti gli strumenti e i dati necessari a spostare l’asticella della qualità del Grana Padano sempre più in alto, per garantire al consumatore un prodotto ineccepibile e inconfondibile, distaccando nettamente i similari che purtroppo continuano a confondere a causa della mancanza di chiarezza e informazioni in merito alla provenienza».
«Il progetto impatta su tutta la filiera», ha concluso Stefano Berni, direttore generale del Consorzio, «attraverso una serie di azioni che affrontano trasversalmente momenti agronomici, zootecnici, microbiologici, di tecnica casearia, merceologici e di marketing, i cui risultati hanno concorso alla definizione delle migliori modalità operative per ottenere latte con superiori qualità igieniche e casearie». «Un grande valore per il Grana Padano», ha concluso Berni, «se, come immaginiamo, dopo la prossima fine del regime di contingentamento europeo della produzione di latte, le produzioni Dop avranno un ruolo fondamentale per salvaguardare un prezzo remunerativo del latte».
L'incontro non è servito però a sciogliere un annoso nodo: il sistema del Grana Padano riuscirà (noi ce lo ci auguriamo!) ad escludere l'additivo lisozima (proteina dell'uovo) dalla caseificazione? Verrà introdotto un nuovo regime alimentare per le bovine, in grado di escludere l'insilato di mais, che tante problematiche ha saputo creare a causa dell'andamento climatico delle ultime campagne maidicole? Saranno introdotte sostanziali modifiche al disciplinare di produzione? E se sì (come è probabile che sia) quali?
La scheda / I "numeri" del Grana Padano
Il "sistema Grana Padano", è stato detto in occasione dell'incontro, "conta oltre 5mila stalle, 130 caseifici, più di 300 imprese di produzione e confezionamento associate. Inoltre più di 40mila persone afferiscono alla sua filiera produttiva, rappresentando il reale target di ogni tipo di interesse tecnico, scientifico ed economico per il settore". "Una filiera", è stato assicurato dagli interessati, "impegnata quotidianamente per offrire qualità assoluta e garantita che conquista ogni giorno il consenso degli appassionati del buon gusto in tutto il mondo, con una produzione nel 2014 di oltre 4,8 milioni di forme di cui quasi 1,6 milioni destinate all’export, cresciuto in un anno del 4,5% e pari al corrispettivo di 8 milioni di quintali di latte". Gli allevatori, alla periferia del sistema produttivo, continuano a chiedersi se sarà mai possibile, oltre il regime delle quote latte, riuscire a spuntare qualche centesimo in più dall'industria di trasformazione.
23 marzo 2015