Latte: ha ancora senso il concetto di “made in Italy”?

   Cosa voglia dire "italiano" non lo sa davvero più nessuno. O per meglio dire sì, se si intende unicamente "prodotto nei confini dello Stato Italiano" lo sappiamo tutti, anche un bambino della terza elementare. Le cose si fanno davvero difficili per chi oggi voglia capire dove risiedano quelle prerogative di unicità e tipicità dei territori, fatti salvi quelli collinari e montani, e le lande più disagiate del centro-sud, ancora in gran parte lontani dall'eccesso di industrializzazione. Stesso discorso per le culture locali, retaggi d'altri tempi per quelle pianure in cui la globalizzazione e un certo "progresso" hanno spianato negli ultimi sessant'anni ogni diversità, ogni peculiarità, in nome della logica produttivista e degli interessi di pochi.

Ancor oggi, nonostante tutto ciò, c'è chi parla di culture e tradizioni, c'è chi ancora declama il ritornello della presunta superiorità del"made in Italy", inganno dialettico perpetrato per anni e a cui oggi è assai difficile credere ancora. Forse un tempo sì, forse prima dell'incalzare del troppo miglioramento genetico, delle razze iperproduttive, che hanno spazzato via gran parte delle nostre razze rustiche locali, in nome di un mero produttivismo che oggi, con la più grave crisi che il comparto abbia mai veduto, ci manifesta di essere stato non un obiettivo di molti ma unicamente – e all'italica maniera – il mezzo per ingrassare qualcuno.

Ci hanno mangiato su – e bene – tre generazioni di venditori di seme, di attrezzature, di mangimi, di farmaci, di tecnici di ogni sorta. Lobby che al tempo stesso sono state, sono e saranno le più forti e le più impalpabili che si possano immaginare. Che operano con i colletti bianchi e col pugno di ferro, che abusano della diffusa ignoranza del mondo rurale, che adoperano la componente più mercenaria della ricerca scientifica per santificare ogni alchimia, e per raggiungere i loro scopi speculativi. Gente in grado di intervenire nell'economia e sulla politica a gambatesa e a furor di spinte. Correggendo, aggiustando, ammendando, ammorbando tutto ciò che gli capiti di fronte: animali, stalle, terreni, acque, cielo. E la salute della gente. Ultimo atto di questa ignobile farsa, appena lunedì scorso, l'ennesima inchiesta che ha di nuovo scoperchiato il pentolone sull'uso dei peggiori farmaci dopanti (leggi qui): ancora una volta decine di stalle perquisite, di denunce, di prodotti illegali e dannosi sequestrati, ad appena quattro mesi dalla penultima inchiesta in cui i tanti soloni del settore lattiero-caseario e della sicurezza alimentare si erano prodigati nel dire che si trattava "di casi isolati" e che "in Italia i controlli funzionano". Le solite baggianate a cui non è più concesso credere.

   Ancora una volta (era già accaduto nel novembre scorso, ricordate? leggi qui) al centro della scena troviamo la somatotropina (rBGH, ormone artificiale della crescita), con cui in alcune (o forse in più di alcune) stalle le bovine vengono regolarmente "bombate" per produrre qualche litro di latte in più. Ultima spiaggia per chi non ha più niente da perdere. Il settore è alla deriva, molti allevatori sono talmente indebitati da sentirsi di non avere più nulla da perdere, e allora se passa il tecnico con l'"aiutino" – e il "tecnico" lo sanno tutti che c'è, e se vuoi lui passa – per produrre qualcosa in più, tanto vale rischiare. Per di più, si dice che i rischi siano minimi, perché minimi sono i controlli, operati o a campione o su indiscrezioni fidate. Le cose si sanno in giro e si sapevano da tempo (leggi qui), e la speranza degli allevatori "non in regola" è quella che i controlli non arrivino a rovistare proprio nelle loro stalle.

Ecco, in questo "bel" panorama, e di fronte ad una deriva che non è più solo economica, ma ormai anche morale e sociale, forse il momento meno opportuno per pensare ad un marchio italiano ("100% latte italiano", leggi qui), era proprio quello attuale. Difficile certo il mestiere di ministro agricolo, di questi tempi, ma di fronte al rischio di errori palesi meglio sarebbe astenersi dal prendere iniziative. Speriamo che almeno a Bruxelles (come sembra, leggi qui) decidano di non dare l'ok.

23 marzo 2015