Fare comunicazione nel mondo del formaggio sembra sempre più difficile. Qui in redazione siamo portati a pensarlo ogni volta che leggiamo di qualcosa di apparentemente eclatante, sensazionale e unico che viene accostato ad un prodotto caseario. Figuriamoci poi se la notizia è di quelle già sentite – quindi usate – o, peggio ancora, abusate.
A farci balenare il pensiero è ancora una volta una storia del passato, e un personaggio illustre: Michelangelo Buonarroti – si dice e si ridice – era goloso di Casciotta di Urbino, anche se la Casciotta di Urbino allora non si chiamava così e anche se all'epoca non erano le industrie o i trasformatori artigianali (che oggi acquistano latte, e che allora eanche esistevano) ma i pastori a produrla, verosimilmente a caldo e con una metodologia oggi non più praticabile. Neanche volendo.
A ridare fiato alle trombe dell'industria casearia marchigiana arriva ora (qui la notizia, rilanciata ancora una volta con grande enfasi) il lavoro di un geologo – tale Rodolfo Coccioni – che, assicurano gli interessati, ha ritrovato i terreni affittati da Michelangelo e destinati al pascolo per produrre il formaggio che tanto piaceva al geniale artista. Un formaggio che allora si chiamava "cascio di guaime" (era detta "guaime" l'erba di secondo taglio, ndr) che nessuno potrà mai dirci come fosse ma con cui l'attuale Dop marchigiana ha da spartire il solo territorio di origine; giammai le tecniche di produzione.
Citando i vari manoscritti e gli atti notarili relativi all'affitto dei terreni e ai traffici caseari tra i suoi emissari e Michelangelo, allora impegnato a Roma nella realizzazione delle sue straordinarie opere, lo studioso giunge a indicare i nomi delle particelle di "Campi Resi", "C. Colonnelli" e "La Ricciola", che sarebbero ancor oggi altamente vocati al pascolamento, grazie alle loro caratteristiche geologiche e geomorfologiche: "prevalentemente sabbiosi, quindi leggeri e asciutti, e acclivi”.
Neanche a farlo apposta, uno studio che giunge pressoché sincrono con un incontro organizzato dall'Università degli Studi di Urbino e in programma all'Expo di Milano il 13 giugno. Chissà se qualcuno si prenderà la briga di spiegare anche che il "cascio di guaime" era fatto dai pastori, verosimilmente in qulche capanna che oggi nessuna Asl lascerebbe utilizzare (e pensare che sarebbe il contesto migliore: un locale per quanto spartano prossimo al pascolo, così da sfruttare la temperatura del latte, senza doverlo refrigerare). E che la moderna Casciotta di Urbino non è prodotta che da aziende che il latte lo comprano, anche ma non solo dai pastori.
11 maggio 2015