Il latte guarda il futuro: poche idee da parte di chi dovrebbe averne

  Ad oltre un mese dalla fine del regime delle quote latte le cronache dei quotidiani appaiono ancora tempestate dai pareri più discordanti sul da farsi. "Troppi galli a cantare, non si fa mai giorno", dice il proverbio, e nella gran parte dei casi non arriva un'indicazione che possa far balenare uno scenario auspicabile. Soluzioni zero, confusione tanta, e nessuno che abbia il buonsenso di indicare la necessità di ripensare ex novo un sistema che pur ha avuto ed ha dei limiti evidenti: si è prodotto troppo e male, allontanando la qualità reale a colpi di quantità, e troppo spesso si è prodotto rendendo estranei i latti e i loro derivati dai territori di provenienza (quali alimentazioni? quali legami con i territori? domande che da qualche decennio troppi operatori hanno smesso di porsi).

Per Dino Scanavino, presidente della Cia (Confederazione Italiana Agricoltori) «su latte fresco e formaggi come produttori italiani abbiamo ancora possibilità di crescere». Il numero uno dell'associazione agricola lo ha dichiarato all'Ansa mercoledì scorso, 13 maggio, a margine della presentazione del primo "Contributo degli agricoltori italiani alla Carta di Milano di Expo 2015".

«Il settore lattiero soffre in tutta Europa», ha aggiunto Scanavino, «ma se noi portiamo la quantità di latte italiano utilizzato per fare formaggi, dall'attuale 60% al 75%, abbiamo fatto bingo». «Noi dobbiamo puntare su una filiera organizzata», ha aggiunto il leader della Cia, «che trasformi il nostro latte, poi ne produrremo anche di più».

Parole di chi dimostra di non conoscere il settore: senza un accenno alla metodologia di allevamento, e quindi alla qualità di latti e formaggi. Ancora e solo numeri, come se per competere non servissero prodotti indennitari, legati ai territori (con mais e unifeed come si può?) e ci si dovesse ancora una volta aggrappare al bollino Dop per emergere.

Più realista ma senza un'indizio sul da farsi, l'assessore lombardo all'agricoltura Gianni Fava, che in un incontro con i conferitori della Gardalatte ha dichiarato che «c'è molta apprensione in questo momento. Qui si fa cooperazione ad un certo livello ma fuori di qui va anche peggio. Non possiamo pensare di risolvere ritardi di anni in pochi mesi ma quello che non possiamo fare è modificare una situazione di mercato molto complicata. Cerchiamo di dare delle risposte all'agricoltura (sottintende "noi della Regione Lombardia, ma non accenna quali, ndr), in questa fase di difficoltà: agli operatori vanno date risposte realistiche, non vanno costruite false illusioni».

«Dobbiamo dire che questa fase difficile non è finita», ha aggiunto Fava, «all'agricoltore dobbiamo dare sostegno e sollievo (come?, ndr), e lo faremo nel novero delle competenze che la legge ci assegna. Le problematiche sono note, le soluzioni (quali?, ndr) possono anche non essere condivise, ma come Regione abbiamo dato il senso di volere fare la nostra parte per sostenere fino in fondo questo comparto». Parole criptiche che più criptiche non si può, oltre le quali è difficile intravedere alcuna prospettiva possibile.

La perla però arriva da chi invece dovrebbe indicare un barlume di speranza. Infatti Gioacchino Majone, presidente dell’azienda agricola Vallepiana e della sezione lattiero-casearia di Confagricoltura Campania, pur avendo il privilegio di imbottigliare nella sua regione il tanto decantato Latte Nobile (che esclude unifeed, insilati e Ogm, ndr), non vede in quello un modello da raccomandare, arrivando a dire – in un'intervista rilasciata al quotidiano Il Mattino giovedì 14 maggio – che «con l’abolizione delle quote latte, senza una rete locale, il comparto salernitano rischia di scomparire». «È questo il concreto pericolo per i piccoli allevatori della provincia», conclude Majone, «chiamati a difendersi dalla liberalizzazione del mercato e dalla conseguente contrazione dei prezzi». A noi piacerebbe pensare invece che, ad un'inevitabile contrazione del mercato un modello basato su una qualità reale possa finalmente prendere piede. Ma se non ci crede neanche chi vi è coinvolto, le prospettive iniziano a prendere inevitabilmente la piega di un'ulteriore criticità.

18 maggio 2015