La maggior parte dei consumatori italiani vorrebbe che le etichette dei prodotti alimentari fossero più esaurienti. Lo avrebbe accertato un sondaggio elaborato dal'"Osservatorio permanente sulla Filiera italiana del Latte", i cui risultati sono stati illustrati all'Expo nell'ambito del convegno "Etichettatura, tutela, sicurezza ed educazione alimentare", organizzato dalla Granarolo.
Secondo il sondaggio, il cui numero di intervistati non è stato però rivelato, le informazioni su cui si concentra maggiormente l'attenzione dei consumatori sono la data di scadenza (63%), gli ingredienti (50%), la loro provenienza (49%) e l'eventuale presenza di sostanze dannose alla salute (37%). Una percentuale importante degli intervistati (48%) considera le etichette poco chiare, ma la quasi totalità ritiene importante avere una filiera agroalimentare controllata e afferma di conoscere il significato delle certificazioni europee più comuni (Dop, Doc, Docg, etc.).
È curioso notare però che il sondaggio non abbia toccato questioni davvero rilevanti per le produzioni di origine animale: quale alimentazione viene adottata per le lattifere che sono alla base delle produzioni industriali? Quali valori nutrizionali, quali micronutrienti sono contenuti nei loro prodotti? È evidente che – dal loro punto di vista – questo non si sappia né si debba sapere (l'industria vuole le quantità, e le quantità si fanno in stalla, con gli insilati, l'unifeed e i mangimi). E che i consumatori non vengano sollecitati a pensare a ciò che davvero conta.
E allora, cosa di meglio che non tornare sull'abusata questione del latte in polvere, così popolare ormai da trovare l'opposizione dell'84% degli intervistati? Un consumatore su due afferma poi di sapere quale sia la differenza tra un latte standard, uno di alta qualità e uno biologico. Ma se conoscessero il significato reale del secondo dei tre, finirebbero per non comprarlo proprio.
Nessuno degli intervistati – assicurano all'"Osservatorio" – conosce con esattezza il significato della dicitura "leggero/light" (è mai possibile che davvero nessuno la sappia? ma allora gli intervistati erano davvero pochi!).
Infine, si dividerebbero esattamente a metà le persone informate sulla differenza tra data di scadenza e termine di conservazione, ed altrettanto equilibrio ci sarebbe tra chi davvero conosce il significato di "made in Italy" alimentare e chi no: il 31% di essi credono erroneamente che significhi "prodotto con materia prima italiana", mentre in realtà vuol dire "prodotto in Italia" (ma non necessariamente con materie prime italiane). Il 73% poi dichiara di essere disposto a spendere di più per avere la certezza dell'origine e della provenienza italiana anche della materia prima. Ma è di là da venire – a quanto pare – la sensibilità per ciò che davvero conta, vale a dire: cosa hanno mangiato gli animali? quali nutrienti trovo in quel che mangio?
26 ottobre 2015