L’Aras di Cagliari (Associazione Regionale Allevatori della Sardegna) ha pubblicato nei giorni scorsi un dettagliato studio sulla zootecnia dell’isola, mostrando le trasformazioni avvenute dal 1982 al 2010. Ha preso in esame il settore ovino che vede gli allevatori sardi leader in Italia, con il 45% delle pecore allevate e con il 67% del latte prodotto. Dallo studio è stato interessato anche il settore caprino. «Per le capre», ha esordito il direttore Marino Contu, «è difficile descrivere in modo sintetico la composizione degli allevamenti e distinguere le produzioni per quantità e valore, e questo perché le statistiche nazionali di settore generalmente non fanno grande distinzione quando si parla di pecore e di capre, perché troppo spesso i dati si riferiscono agli ovicaprini».
Tuttavia, grazie all’incessante e meticoloso lavoro dei propri zootecnici e veterinari, l’associazione possiede ora tutte le informazioni necessarie per ricostruire gli ultimi decenni dell’allevamento caprino, che vede «la Sardegna», ha assicura Sandro Lasi, che dell’Aras è il presidente, «ricoprire un ruolo di assoluto rilievo nel panorama nazionale, con il 28% dei capi presenti in Italia e con il 46% del latte».
Se da una parte due dei cambiamenti avvenuti in questi anni accomunano il settore ovino a quello caprino – il numero degli allevamenti, ridottisi del 35%, e quello delle loro dimensioni medie, poco meno che raddoppiate – dall’altro la crescita delle dimensioni delle aziende appare sensibilmente diversa, con un +7% nel settore caprino (da 225.211 a 241.315) e un +28% per in quello ovino.
«Considerato che i prodotti caprini», ha aggiunto poi Contu, «sia il latte che i formaggi, sono sempre più richiesti dai mercati internazionali, sarebbe utile attuare un progetto di valorizzazione del settore caprino in Sardegna. E visto che le sollecitazioni da parte delle industrie di trasformazione non sono mancate, sarebbe necessario valorizzare al meglio la capra sarda, con appropriati interventi selettivi, e attuare un’introduzione mirata di razze italiane o estere, finalizzate a produrre latte destinato tanto all’uso alimentare che alla trasformazione. Una prospettiva che non può essere attuata senza un’adeguata formazione degli allevatori, onde evitare clamorosi fallimenti».
Prospettive sicuramente interessanti, con un dato almeno che però lascia molto riflettere: la spinta verso i mutamenti produttivisti è stata ed è assai rilevante, se è vero com’è vero che un quarto delle capre d’Italia è qui e produce quasi la metà del suo latte. La domanda che ci si pone è immediata: come si è arrivati a questo disequilibrio? A colpi di genetica, certo, ma non solo; di sicuro anche con un’alimentazione assai meno “naturale” (meno pascolo; più stalla e più mangimi) rispetto a prima. Siamo certi allora che i valori nutrizionali più importanti (Cla, rapporto Omega6/Omega3, betacarotene, vitamine) non siano perfettibili facendo qualche passo indietro? A noi qualche legittimo dubbio rimane.
26 ottobre 2015