Coldiretti critica l’Istat ma dimentica le proprie malefatte

La sede dell'Istat, a Roma - foto di LPLT - Creative Commons License®Sono anni che qui in redazione si afferma la necessità di chiamare ogni cosa con il proprio nome, o per meglio dire con il nome ad essa più adatto. La faccenda, a ben guardare, tocca ciascuno di noi, ma assume una rilevanza maggiore per quei soggetti (editori, giornalisti) che della parola fanno un uso divulgativo. Vero è che ogni lingua viva è in perenne mutamento, per mille e disparati motivi, e che è proprio il suo mutare a renderla viva. Accade però, che alcuni termini – fateci caso – vengano imposti da una sorta di “dittatura industriale” che li afferma con la compiacenza dei media di più ampia diffusione, e che quando ci accorgiamo di essi, e di quanto poco siano accettabili, il “danno” risulti irreparabilmente fatto, semplicemente perché la loro divulgazione è ormai compiuta e il loro uso definitivamente affermato.

Ecco così che le razze animali più produttive, frutto di manipolazioni genetiche, sono ormai da tempo dette “migliorate”, per quanto chi cerchi prodotti di qualità (e non di quantità) le definirebbe “peggiorate”. Allo stesso modo accade che i moderni sistemi di produzione energetica, sempre più diffusi nel mondo agricolo vengano chiamati “biomasse”, anche se con il “biologico” non hanno davvero nulla a che spartire. Il termine però tornerà utile a far accogliere da molta, moltissima gente come innocuo qualcosa che innocuo non è, semplicemente perché il suffisso “bio” è oramai stato assunto dai più con una valenza positiva universale.

Il latte di mandorla, antesignano dei moderni latti vegetali, è tra i Pat delle regioni Sicilia e Calabria, quindi a differenza di altri ''latti vegetali'' il suo nome non può essere messo in discussione - foto di Amazing Almonds - Creative Commons License®Terzo, più clamoroso e attuale esempio, è quello  delle ormai innumerevoli bevande vegetali (non se ne può davvero più) che hanno usurpato al latte il proprio nome: non “bevande a base di” ma “latti” anch’essi. Nonostante non vengano munti da nessuna mammella, nonostante non somiglino al latte, e meno che mai per il profilo nutrizionale che li contraddistingue. In ciascuno di questi tre casi – ed è assai più che una nostra sensazione – c’è lo zampino occulto di qualche potentato, che di volta in volta ha ordito la propria trama. Nei primi due, quella parte del mondo scientifico asservito alle logiche industriali, che ha preso a scrivere di ricerche, a tener convegni, a divulgare terminologie arbitrarie, e via via i tecnici e i media di settore, gli opinion leader, rilanciandole a destra e a manca, e – a cose ormai fatte – la massa dei consumatori. Nel terzo, un’industria che ha iniziato a immettere sul mercato confezioni con su scritto “Soy Milk”, “Latte di Soia”, etc. senza che nessuno opponesse obiezione.

Fatta questa lunga e inevitabile premessa, liquidiamo l’attualità con qualche link e un pensiero semplice semplice, rivolto ai “soliti noti”: dov’era Coldiretti – che oggi rimprovera all’Istat l’uso del termine “latte di soia” (o di riso) nell’ultimo paniere dei prezzi al consumo – quando quei termini iniziavano a circolare sulle confezioni di quelle bevande? Cosa ha fatto Coldiretti per impedire che la divulgazione di quel termine avvenisse? E poi, suvvia, per quale motivo giungere oggi ad affermare che l’erroneo uso del termine aggrava la già grave situazione delle stalle italiane?

Non sarebbe meglio forse se si andasse a vedere perché e con il consenso di chi il termine “Latte di Alta Qualità” fu coniato e omaggiato all’industria? Perché ciò accadde? E che nome dovrebbe ora dare al proprio latte un allevatore che lavori davvero nella Qualità più Assoluta? Il pensiero va agli amici del Latte Nobile e in particolare a chi, come l’azienda Cascina Roseleto, alimenta le proprie bovine al pascolo per la quasi totalità dei giorni dell’anno. Duro ed encomiabile è il loro lavoro, come encomiabile è il ruolo di chi, tra i consumatori, ben informandosi e ben acquistando, alimentano un circuito virtuoso libero dai lacciuoli che finora hanno governato il mondo agricolo.

8 febbraio 2016

Sulla superiorità del latte (e derivati) di animali al pascolo, leggi qui