«Tonnellate di latte da buttare perché sono stati disdetti i contratti e il prodotto non è più ritirato dalle industrie, ma nelle stalle bisogna continuare a mungere per non far soffrire gli animali»: è con queste parole che il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo ha esordito nell'incontro con i media nazionali, in occasione dell'ennesima mobilitazione inscenata dall'associazione di categoria, che ancora una volta ha portato migliaia di allevatori in piazza, stavolta a Udine. E ancora una volta la Coldiretti è apparsa su tutte le tv, per mostrarsi ancora una volta dove nel concreto non è mai stata. Cioè, al fianco degli allevatori.
«Il settore agricolo», dice Moncalvo, «è stato vittima di scelte di politica generale assunte senza considerare il pesante impatto sul piano economico, occupazionale e ambientale sui nostri territori». Come se ciò non bastasse, ha proseguito il numero uno della confederazione agricola, «la Commissione Europea ha clamorosamente sbagliato analisi e previsioni sul futuro del settore lattiero-caseario, dopo la fine delle quote latte, mancando di prevedere un così repentino aumento delle produzioni, soprattutto dell'Europa del nord», trainate da Irlanda ed Olanda, «che hanno fatto registrare incrementi a due cifre».
«L'Unione Europea», ha aggiunto Moncalvo, «si comporta come Ponzio Pilato scaricando le proprie responsabilità sugli Stati Membri, senza risposte strutturali, di fronte a evidenti squilibri di filiera». Il numero uno di Coldiretti allude così alla sperequazione, più che evidente, tra chi produce sottocosto (gli allevatori), percependo 30 centesimi al litro e chi (industria e Gdo) per il medesimo litro si spartisce un euro e anche più.
In Italia, i tre quarti del latte uht venduto proviene palesemente dall'estero (ma anche una parte di quello che sembra italiano e non lo è, ndr) e "la metà delle mozzarelle", affermano alla Coldiretti, "sono fatte con latte o cagliate stranieri" senza che il consumatore lo possa sapere, visto che in etichetta l'origine della materia prima non deve essere indicata. Accade così che in questo contesto totalmente sfavorevole ai produttori e ai consumatori italiani, il prezzo del latte alla stalla sia letteralmente in caduta libera, passato dai 44 centesimi di euro al litro del marzo 2014 ai 37 del marzo 2015. Dopo un anno ancora si aggira attorno ai 33 centesimi, con punte al ribasso che toccano i 30 centesimi in Friuli Venezia-Giulia. Sempre più al di sotto dei costi di produzione.
In questa drammatica situazione, Coldiretti lancia l'ennesimo proclama, dichiarandosi "impegnata in un piano salva-stalle per fare in modo che neanche un litro di latte venga gettato". Quale sia il piano non è dato saperlo, e forse neanche Moncalvo lo sa. L'importante per loro, ora come in passato, è apparire in tv e sui giornali e dire, dire, dire – o meglio far credere – che il proprio ruolo sia decisivo per salvaguardare il mondo agricolo.
Le responsabilità di Coldiretti
La vera verità, purtroppo è un'altra: ancor oggi, come già denunciammo un anno fa da queste pagine (leggi qui), la Coldiretti continua a farla da padrona, e soprattutto in zootecnia, attraverso l’Associazione Italiana Allevatori, che ha sempre basato la sua attività sulla selezione e sul cosiddetto "miglioramento genetico". Che poi un miglioramento non è ma un "peggioramento", verso rese produttive sempre più elevate e una qualità che va sempre più a picco. Verso una globalizzazione del prodotto "made in Italy" attraverso cui il nostro prodotto, se è uguale agli altri (e lo è, parliamoci chiaro) perde sul piano del prezzo perché in Italia, anche per via dei pochi pascoli che abbiamo, i costi di produzione sono più alti.
Anziché la politica delle iperproduzioni a cui Aia e Coldiretti hanno spinto il sistema zootecnico italiano, si sarebbe dovuto puntare sulle piccole produzioni locali davvero legate al territorio e in grado di servire – in un contesto di filiere corte – i mercati locali. Gli allevatori avrebbero speso di meno, per alimentazione e veterinaria (le vacche spinte a produrre troppo patiscono ogni tipo di problema, dall'ipofertilità alle mastiti, solo per dirne due, ndr), le loro vacche sarebbero vissute di più, il territorio e i consumatori ne avrebbero guadagnato in salute.
Al tempo stesso avremmo preservato un'infinità di realtà diverse tra di loro (salvaguardando la biodiversità) che oggi sarebbero state forti proprio della loro non-omologazione al mercato globale. Lì invece Coldiretti e Aia hanno trascinato il mondo zootecnico italiano, e lì sta avvenendo la carneficina a cui stiamo assistendo.
Di fronte a un tale sfacelo non servirebbero molte parole. Servirebbe quantomeno il silenzio di chi, avendo la responsabilità di aver avviato il settore verso un disastro, dovrebbe avere oggi almeno il buonsenso di tacere.
11 aprile 2016