Etichetta a semaforo addio? Lo dice la stampa. Ma non è vero

L'articolo di denuncia de Il Fatto Alimentare: la stampa italiana è asservita alle lobbyIl desiderio pare abbia appannato la vista a molti, se non a tutti. La voglia di mettere in soffitta l’etichetta a semaforo sembra aver giocato un tiro mancino a tantissimi operatori dell’informazione e a diversi attori della scena agroalimentare italiana. Uno dei principali freni alla commercializzazione dei prodotti agroalimentari di qualità – “l’etichetta a semaforo – è stata bocciata a Strasburgo dal voto del Parlamento Europeo”: con questo tono hanno trattato la notizia – sbagliando e di grosso – a partire da martedì 12 aprile, fior di quotidiani come La Repubblica, il Corriere della Sera, La Stampa, e tantissimi altri ancora, ma anche il normalmente attendibile TestMagazine del Salvagente, il settoriale Dissapore e tutte le principali agenzie di stampa, dall’Ansa all’Agi, passando per la “parlamentare” Agenparl.

Di quale notizia si stia parlando è facilmente comprensibile leggendo uno qualsiasi degli articoli su linkati: il Parlamento Europeo ha approvato – con 402 “sì” e 285 “no” – una risoluzione che invita la Commissione Europea a rivedere il concetto dei profili nutrizionali, anche in vista di un loro possibile superamento, come proposto dal paragrafo 47 della relazione Kaufmann riguardante il “programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione europea”. Ma non per questo ha detto “no” ad un’etichettatura volontaria che sta invece prendendo piede in diversi Paesi: oltre al Regno Unito, in cui è di casa, la “traffic light label” sta pian piano trovando spazio in Francia e in altri Stati, inclusa l’Italia, dove attualmente è presente su molte confezioni dei prodotti a marchio Pam e Lidl. Non gli ultimi arrivati.

A svelare lo scivolone collettivo della gran parte dei media nazionali è stato il quotidiano online Il Fatto Alimentare, che giovedì 14 aprile aveva titolato “Nessuna bocciatura per le etichette a semaforo” e che ieri ha affondato il colpo con un articolo di Roberto La Pira, dal titolo tanto lungo quanto eloquente: “La bufala dell’etichette a semaforo bocciate dal Parlamento Europeo è avallata da ministri, lobbisti, associazioni di consumatori! Ignoranza, malafede o superficialità?”

Nel suo articolo, La Pira sottolinea come “negli altri Paesi europei giornalisti, politici e media non si sono così eccitati per la notizia, perché l’Ue  non ha mai bocciato le etichette a semaforo e gli articoli apparsi in Italia raccontano una bufala”.

Il folto gruppo di lobbisti, giornalisti distratti e associazioni poco attente”, prosegue il giornalista del Fatto Alimentare, “fa finta di non sapere che in Inghilterra la stragrande maggioranza dei supermercati  le utilizza (legalmente) per i prodotti a marchio”.

In sostanza, ed è qui la chiave di lettura di tanto diffuso pressappochismo, pare che il folto gruppo degli antagonisti della “traffic light label” abbia, secondo La Pira, “grossolanamente confuso i profili nutrizionali con l’etichetta semaforo”. “Il Parlamento europeo”, conclude il giornalista consumerista, “ha infatti invitato a ripensare i profili nutrizionali degli alimenti previsti nella 1924/2006, ma questa cosa è ben diversa dalle etichette semaforo previste nel regolamento UE 1169/2011,  che da anni  autorizza su base volontaria  le etichette a semaforo. In tutta la vicenda ci sono due grandi sconfitti, il consumatore che riceve informazioni sbagliate e un certo modo di fare giornalismo che dimentica di verificare le fonti e di rettificare le notizie sbagliate”.

Alla luce di tutto ciò, appaiono sconcertanti le dichiarazioni di personaggi come l’eurodeputato Paolo De Castro («Il voto a favore dell’eliminazione dei profili nutrizionali è un segnale forte alla Commissione per quanto riguarda qualsiasi forma di sistema di etichettatura sul genere del semaforo inglese») e del Ministro Maurizio Martina («Siamo sempre stati in prima linea contro il sistema di etichettatura a semaforo, che penalizza i nostri prodotti agroalimentari di qualità»), di fronte alle quali c’è davvero da chiedersi che film questi signori abbiano visto e per quale motivo si siano prestati a fare una figura barbina come questa.

18 aprile 2016

Clicca qui per leggere l’articolo di Roberto La Pira sul quotidiano online Il Fatto Alimentare