Famosa un tempo nel mondo per la qualità delle sue produzioni agroalimentari (il buon "made in Italy", ve lo ricordate, vero?), l'Italia del cibo rischia di veder sprofondare la propria immagine sul cupo scenario delle truffe e delle frodi alimentari, a causa di un sistema fortemente legato alla zootecnia industriale da latte. Un sistema in cui con una frequenza preoccupante (più di una volta all'anno, dal 2013 ad oggi, ndr) almeno alcune centinaia di discutibili operatori – alcuni letteralmente borderline – hanno deciso e decidono di delinquere per assecondare i loro miserabili interessi. Chi per incrementare illegalmente il proprio profitto, chi per evitare di perdere qualche ettolitro di latte "sporco", chi per mantenere bassi i costi aziendali, comperando mangimi più che scadenti.
I soggetti coinvolti in questi illeciti – tutti, senza esclusione alcuna – sono stati, sono e saranno impegnati ad operare per far girare del latte – l'ormai famoso "latte alle aflatossine" – fortemente dannoso per la salute pubblica (si tratta di micotossine altamente cancerogene), vendendolo, comperandolo, taroccandone le analisi, nascondendo prove, all'interno di singole architetture locali del malaffare che appaiono troppo simili tra loro – in Lombardia, in Friuli, in Veneto – per far pensare a delle fortuite coincidenze. Mangimisti, agronomi, tecnici di laboratorio, allevatori, veterinari, e infine caseifici, quasi mai vittime inconsapevoli degli illeciti. In ognuno di questi sistemi locali ogni categoria presente nella filiera del latte è stata, è e sarà palesemente e tragicamente rappresentata. Di certo non si può pensare a dei casi fortuiti o a delle coincidenze. Piuttosto ad un sistema ben rodato e reiterato di qua e di là. Un sistema che sta in piedi solo se i vari ruoli previsti per compiere le truffe sono ben rappresentati: dai mangimisti ai caseifici.
Come pochi sanno, i casi di "latte alle aflatossine" si susseguono in Italia dal 2013 ad oggi, per di più senza soluzione di continuità. Toccano – sia ben chiaro – quella zootecnia intensiva che pur di produrre tanto, o tantissimo, accetta rischi di enorme portata, che senza ombra di dubbio vanno ad incidere sulla salute pubblica: sulla vita e soprattutto sulla morte della gente.
Purtroppo le cronache non registrano eventi favorevoli per chi desidererebbe un po' di giustizia e di tutela. E così, mentre l'ultima inchiesta bresciana sulle aflatossine volge al termine con oltre cento indagati (leggi qui) e mentre un caso emerge anche nella provincia mantovana (leggi qui), una delle inchieste avviate nel 2013 si chiude con il proscioglimento di 12 indagati su 15. Uno smacco per chi crede ancora nella giustizia e nella capacità del nostro sistema giudiziario di essere maggiormente severo con chi compia reati nell'ambito della salute pubblica.
La notizia, riportata dal Messaggero Veneto (leggi qui) di martedì scorso 3 maggio, riferisce che i 12 ad averla fatta franca sono stati sollevati dalle loro responsabilità in quanto "i fatti a loro addebitati non sussistono", relativamente al superamento dei limiti di legge per le afatossine, in alcune partite di latte impiegato dalle Latterie Friulane (proprietà Parmalat) di Campoformido.
Il processo riprenderà il 21 febbraio 2017. Da qui ad allora, chissà quanti altri dei responsabili dei casi emersi più di recente saranno riusciti a farla franca, con le varie formule previste (patteggiamento, rito abbreviato, etc.) da una legge sempre troppo poco severa con crimini di questa natura.
9 maggio 2016