Etichette ”trasparenti”: quante menzogne dalla grande stampa

foto Fca.com©L’indicazione del Paese di origine nell’etichettatura dei prodotti alimentari derivati del latte e della carne dovrebbe essere obbligatoria. Il condizionale è inevitabile e la cautela nel trattare l’argomento dev’essere ancora tanta: non si può ancora gridare vittoria, come molti nelle scorse ore hanno fatto sulla base della risoluzione approvata a Bruxelles giovedì scorso, 12 maggio, che ha però – si badi bene – carattere non vincolante. Ammesso che una vittoria possa mai esserci, dal momento che nessuno ci dice (né dirà mai, statene certi) di “quale latte” e di “quale carne” si stia parlando.

Ad ogni modo, per ora, una buona parte degli eurodeputati impegnati per la trasparenza agroalimentare ha esternato ai media la propria soddisfazione, sottolineando che “l’etichettatura obbligatoria renderebbe più trasparente la catena di approvvigionamento alimentare e aiuterebbe a mantenere la fiducia dei consumatori nei prodotti alimentari”.

L'unica etichetta apprezzabile, quella pianesiana (Un Punto Macrobiotico) non potrà mai andar bene all'industria perché svelerebbe troppe questioni che i consumatori non debbono sapere

Quale fiducia può essere mantenuta, al giorno d’oggi in questo sistema, è tutto da capire, visto che ormai larga parte del mercato è alla deriva, nella mani di un’agroindustria che non ha né confini né etica e che da anni autocelebra le proprie legalissime truffe ai danni dei consumatori mettendo di fatto la qualità reale sotto i propri piedi, in ragione dei propri interessi e con la compiacenza di larga parte delle confederazioni agricole e della stampa.

Quale grido di vittoria dovremmo levare al cielo, di fronte a modelli produttivi che hanno depredato il mondo rurale di centinaia di denominazioni? Per quanto tempo ancora e perché dovremmo ancora credere a soggetti che ad ogni pie’ sospinto piangono l’affronto dei cloni perpetrati all’estero su un “made in Italy” che mai sarà tanto clonato fuori dall’Italia quanto lo è nel nostro stesso Paese?

Li conosciamo tutti i nomi delle splendide Dop fatte in pianura e basate sulle sofferenze animali (una breve vita in stalla: è vita quella?) e sui mangimi (destinate a produrre sofferenze umane, quindi). Realtà che penetrano il mercato con denominazioni evocative della montagna e con prezzi da sottoprodotto di provenienza più che dubbia (nei giorni scorsi li abbiamo visti formaggi a 5€ al chilo, vero?). Quelle sì che sono fatte con materia prima italiana, certo! Ed è quello che vogliamo per il nostro futuro?

Di questo passo – ma già oggi, oramai – l’indicazione di origine sarà l’ennesima presa per i fondelli per la massa dei consumatori non-pensanti, per chi ha altri e discutibili interessi (smartphone, playstation, calcio e altre “droghe artificiali”) e per chi – in tempo di crisi – è costretto, giorno dopo giorno, a cercare cibo a buon mercato.

“Mangiare meno, mangiare meglio”: sarà sulla base di questo motto che si costruirà una strada verso la salvezza. Salvezza delle ultime tipicità rimaste, salvezza della nostra stessa salute, salvezza dalle loro menzogne.

Per chi desideri leggere su questo tema le ultime notizie di regime, qui e qui ce n’è di utili a rafforzare queste nostre tesi, sempre che si sia riusciti a salvaguardare la propria capacità di dubitare dell’imperante dittatura industriale. Letture utili a confermare che le residue garanzie di salvezza per i consumatori risiedano nella propria consapevolezza, nelle personali capacità di ben informarsi e di instaurare rapporti di fiducia con i produttori onesti. Siano essi italiani, albanesi, rumeni o slavi. La qualità non ha confini. Larga parte dell’industria, giorno dopo giorno, ci toglie qualcosa di buono e ci dà in cambio il peggio. Mentre le ultimi propaggini di delle più autentiche qualità agroalimentari (e nutrizionali) rimangono radicate in quel raro mondo rurale che non ha piegato il capo alla modernizzazione.

La crisi del latte è paradigmatica di questo stato di cose. Ed è sotto gli occhi di tutti: in sessant’anni di menzogne li hanno convinti a sostituire razze rustiche locali con razze cosmopolite, con la prospettiva di aumentare le rese. A gonfiare le bestie di integratori e mangimi insalubri, per aumentare le rese. E con le rese il guadagno. La parabola si è chiusa sulle loro menzogne, come una tomba si chiude con la lapide. Con il paradosso dell’allevatore che ai giorni d’oggi perde due o tre centesimi per ogni litro di latte prodotto. E che più produce e più perde. Più perde e più è vicino alla chiusura della propria azienda.

Larga parte del mondo contadino ha firmato deleghe in bianco ai malfattori, ed è ora servita sul piatto della propria ignoranza e della propria stoltezza. Per i pochi che rimarranno in piedi, salvati dai propri anticorpi ribelli e dalla propria lucidità di pensiero, per chi non ha subìto il fascino di certe sirene, si tratta di andare ora incontro ad una piccola ma crescente fetta di mercato che li sta sempre più cercando. Il nostro auspicio è che la loro lungimiranza li porti presto a fare sistema tra di loro e attorno ai pochi progetti lucidi e onesti che, cadute le ultime macerie, appariranno allora visibili ai sopravvissuti.

16 maggio 2016