Tutto è pronto per il doppio salto mortale che il mercato sembra imporre ai produttori di latte vaccino industriale. Due i fattori principali che hanno innescato le dinamiche di questa interminabile agonia di un settore: da una parte il crollo del prezzo alla stalla (attorno ai 21 centesimi al litro in molti mercati europei) indotto dall'eccesso di produzione del mercato globale, da un'altra la progressiva diminuzione della domanda di latte di origine animale, portata con sé dalle sempre più diffuse intolleranze alimentari (figlie del latte industriale stesso) e dalle dilaganti ideologie animaliste.
E così, mentre da una parte il commissario europeo all’Agricoltura, Phil Hogan esorta gli eurodeputati a votare per la riduzione della produzione (possibile incentivando le aziende a ridurre il numero delle bovine da latte, vale a dire condannando soprattutto i piccoli alla chiusura), ecco che le analisi e le ricette fioccano, arrivando però sempre dai soliti noti (l'ex ministro Paolo De Castro e Angelo Rossi del Clal, tanto per citarne due) e puntando ancora sulle solite soluzioni. Tra di esse, una brilla per audacia e spregiudicatezza, ed è quella del numero uno di Granarolo, Giampiero Calzolari, che stavolta prima di parlare sveste la casacca di sempre per indossarne una più consona a recitar la parte: quella di "coordinatore del settore lattiero-caseario dell’Alleanza delle Cooperative".
Nel suo intervento, rilanciato dalle agenzie di stampa all'inizio della scorsa settimana, Calzolari dichiara che «serve fermare la tempesta che da tempo si è accanita sul nostro latte. Di questo abbiamo discusso con il ministro», ha proseguito Calzolari «in sede di coordinamento del settore lattiero caseario. Con una disponibilità di materia prima italiana a prezzi prossimi ai 20 centesimi al litro, una produzione annua superiore di almeno 6 milioni di quintali rispetto a ciò che si dovrebbe produrre e (udite udite contro chi rivolge il suo dito indice, ndr) con ripetute quanto interessate campagne di disinformazione in favore di prodotti alternativi, le condizioni di mercato sono ormai divenute insostenibili». Prodotti "alternativi" che proprio l'azienda di cui Calzolari è presidente produce e spinge da oltre un anno (con la sempre più ricca linea "Granarolo 100% vegetale") come ben testimoniano la creazione di un apposito portale e tanta persuasiva comunicazione operata attraverso i social network.
Nella sua arringa in favore del latte italiano (eccola qui, per chi la voglia leggere più nel dettaglio) Calzolari ha un messaggio per ciascuno degli attori impegnati nella più triste delle commedie all'italiana (ne ha per la Gdo, per il ministero, per le corporazioni che il settore hanno indotto alle iperproduzioni e alla globalizzazione). Un messaggio per ciascuno (la comunicazione di un latte 100% italiano, la campagna sul latte nelle scuole, etc.) e mille argomenti per chiamarsi fuori dalle responsabilità di un'intera filiera, tanto palesi quanto è ampia la sperequazione tra prezzo sorgente e prezzo di vendita: 25 centesimi (prezzo alla "stalla") su un euro e mezzo al litro (prezzo al dettaglio) vanno a chi produce (poco più del 16% del totale), il resto alle industrie e alla rete di distribuzione e del commercio (molto più dell'80%). E nessuno che abbia fatto un passo concreto per modificare questo status quo. Solo parole vuote e tanta demagogia, a cominciare dal ruolo che avrebbe dovuto e potuto giocare un intervento dell'Antitrust tanto invocato dal ministro Martina all'inizio dell'anno scorso e mai così poco efficace, a giudicare dai (mancati) risultati ottenuti.
Il ruolo di un certo mondo scientifico
Tornando all'ideologia animalista, e arrivando alla coscienza dei consumatori (che tanta strada sembra debbano fare ancora prima di conquistare una piena consapevolezza) basterà aprire un po' gli occhi per capire quanto essa sia foraggiata da studi scientifici sempre più incalzanti e sempre più palesemente privi dei dovuti distinguo. Studi che hanno proposto come universali dei risultati ottenuti sempre e soltanto indagando la realtà dei latti di origine industriale. Manco a dire che il mondo scientifico non sia preparato a considerare tutte le variabili in campo. Tutti latti "malati" a causa dei due fattori che più condizionano la vita degli animali: un'esistenza da reclusi in stalla e un'alimentazione che difficilmente si potrebbe pensare peggiore di quella che è: unifeed e insilati di mais a degli erbivori.
Per concludere, qualche legittimo dubbio: quali uomini di scienza possono basare il loro lavoro su valutazioni parziali e sempre ugualmente parziali? Perché non degnarsi di sottolineare mai come vivano certe e molte "mucche" e cosa siano costrette a mangiare? La risposta è una sola, e solo chi non vuole vederla continuerà a chiedersi il perché. O a far finta che il problema non si ponga. Il problema, oltre ad una politica che evidentemente è al servizio dell'industria, è proprio lì: in quella parte del mondo scientifico che è sempre più palesemente al soldo delle medesime lobby.
30 maggio 2016