Sulla materia della tracciabilità delle produzioni lattiero-casearie il dado è tratto. Almeno nelle intenzioni del Governo Italiano. Il Ministero delle Politiche Agricole ha infatti reso noto, martedì scorso 31 maggio, di aver inviato a Bruxelles "lo schema di decreto che introduce l'indicazione obbligatoria dell'origine per i prodotti lattiero caseari in Italia". È stato così avviato l'iter autorizzativo previsto dal regolamento comunitario, in attesa che il Parlamento Europeo esprima il suo parere in merito.
"Questo sistema", annuncia il Mipaaf attraverso un suo comunicato stampa, "consentirà di indicare con chiarezza al consumatore la provenienza delle materie prime di molti prodotti come latte, burro, yogurt, mozzarella, formaggi e latticini". Sempre che i poteri forti di Bruxelles, non vedano in questa misura – come già occorso in passato e come non è detto che accada ancora – uno strumento lesivo della concorrenza e della libera circolazione delle merci.
Nell'incertezza della sua approvazione, il ministro Martina canta già vittoria, definendo il decreto «un passo storico che può aiutare tutto il sistema lattiero caseario italiano». «Parliamo», ha proseguito Martina, «di un settore che nel suo complesso vale più di 20 miliardi di euro e che vogliamo dotare di ancora più strumenti per competere. Ci sono analisi che dimostrano la propensione dei consumatori anche a pagare di più per un prodotto che sia d'origine italiana tracciata».
Il ministro si riferisce ad un'indagine demoscopica condotta per conto dell'Ismea, da cui emergerebbe che il 67% dei consumatori italiani (quantomeno il campione intervistato) sarebbe disposto a pagare dal 5 al 20% in più per un prodotto lattiero-caseario che abbia chiara in etichetta la sua origine italiana. Va sottolineato però che nessuna domanda è stata posta nel questionario circa la qualità del prodotto, vale a dire sulla conduzione zootecnica (estensiva, intensiva), sull'alimentazione (mangimi, foraggi) e sul benessere animale (stalla, pascolo). Ancora una volta troppo rimane sottinteso e ancor più sottaciuto. Si insiste sul "dove" nasca la materia prima e su "dove" essa venga trasformata, non sul "come" venga prodotto il latte né sul "come" esso sia lavorato.
«Con questo decreto», ha proseguito il ministro, «finalmente i consumatori potranno essere pienamente informati». Ecco, ce ne duole per il ministro, ma quel "pienamente" è un concetto che non ha alcuna base per poter essere espresso, purtroppo. L'interesse primario – è evidente – è quello di salvare il comparto così come è. Ancora una volta un passaggio cruciale che avrebbe potuto avere in sé ulteriori contenuti di salvaguardia anche dei consumatori – oltre che delle produzioni che puntano ad una qualità reale – viene eluso.
«L'indicazione chiara ed evidente dell'origine della materia prima», ha concluso Martina, «è un elemento cruciale per valorizzare il lavoro di più di 34mila allevatori che rappresentano il cuore pulsante di questo settore. Il nostro impegno per salvaguardare il loro reddito è quotidiano e spingiamo perché ci sia un ulteriore rafforzamento dei rapporti di filiera nel nostro Paese. Lavoriamo ancora a Bruxelles perché questa sperimentazione apra la strada ad un passo europeo ancora più forte».
Apriamo gli occhi
Non si facciano quindi abbagliare i consumatori dai roboanti titoli che hanno accompagnato l'annuncio: se anche si riuscirà ad ottenere da Bruxelles questo strumento (cosa tutt'altro che certa), nessuna etichetta dirà loro "come" un prodotto è nato e quale qualità (mai termine fu più abusato) porta in sé sulle nostre tavole.
Un'altra occasione persa, purtroppo. Ancora una volta i consumatori più attenti e consapevoli trovino i loro strumenti per vagliare i propri acquisti, che al solito passeranno per la propria capacità di discernere, che non potrà prescindere da un'informazione alternativa, mai come oggi fondamentale per garantire a sé stessi un'alimentazione sana e all'ecosistema il dovuto rispetto che nessun modello industriale (monocolture, deiezioni, salubrità alimentare, etc.) potrà mai garantire appieno.
L'aspetto tecnico delle misure adottate
Tornando al decreto e per il solo dovere di cronaca, esso introduce alcune novità afferenti all'indicazione obbligatoria dell'origine della materia prima (latte) in etichetta, che prevederanno le seguenti diciture:
– Paese di mungitura: nome del Paese nel quale è stato munto il latte
– Paese di trasformazione: nome del paese nel quale è stato trasformato il latte
– Paese di confezionamento: nome del paese in cui il prodotto è stato confezionato
Qualora il latte utilizzato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari, sia stato munto, confezionato e trasformato, nello stesso paese, l'indicazione di origine può essere assolta con l'utilizzo di una sola dicitura: ad esempio "Origine del latte: Italia". "In ogni caso", precisano al Mipaaf, "sarà obbligatorio indicare espressamente il paese di mungitura del latte".
Inoltre, quando le fasi di confezionamento e trasformazione avverranno nei territori di più Paesi diversi dall'Italia, potranno essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture:
– origine del latte: Paesi Ue
– origine del latte: Paesi non Ue
– origine del latte: Paesi Ue e non Ue
Da queste misure, precisa il Mipaaf, "sono esclusi i prodotti Dop e Igp basati su disciplinari relativi anche all'origine e il latte fresco già tracciato".
Il settore lattiero-caseario in cifre
(fonte Mipaaf)
Fase agricola
– 34mila allevatori
– 1,8 milioni di vacche da latte
– 11 milioni di tonnellate di latte vaccino prodotto di cui 50% circa trasformato in formaggi Dop
– 4,8 miliardi di euro valore della produzione
Fase industriale
– 3400 imprese
– 39mila occupati
– 14,5 miliardi di euro di fatturato
6 giugno 2016
Per approfondire:
"Firmato il decreto per l’etichetta d’origine del latte italiano" (Il Sole 24 Ore)