I nostri lettori più attenti ricorderanno il caso del caseificio "il Cacio Siciliano" di Belmonte Mezzagno, in provincia di Palermo. Ne parlammo nel maggio del 2015, quando l'azienda venne posta sotto sequestro dai Carabinieri in collaborazione con gli ispettori dell'Azienda Sanitaria Provinciale per i reati di frode in commercio (ritirava regolarmente latte da allevatori abusivi, quindi non sottoposti ad alcun regime sanitario) e per aver utilizzato alimenti in cattivo stato di conservazione. Da allora, dopo l'elezione da parte dell'Autorità Giudiziaria di un commercialista al ruolo di amministratore giudiziario della ditta, il caseificio ha proseguito nella propria attività, impiegando esclusivamente latte prodotto secondo le normative, mantenendo i livelli occupazionali e producendo reddito a vantaggio delle casse dello Stato.
Da allora, il caso, pur attraverso un iter giudiziario per larghi tratti prevedibile (dopo la condanna in primo grado, il ricorso al Tribunale del Riesame, di recente rigettato dalla Corte di Cassazione) ha destato l'interesse degli addetti ai lavori, trovando spazio lunedì scorso 29 agosto sulla testata giornalistica specializzata FiloDiritto, pubblicata dalla casa editrice InFOROmatica di Bologna, e diretta da Antonio Zama. Nell'articolo, intitolato "Alimenti – Cassazione Penale: è punibile utilizzare latte non tracciabile" viene messo in risalto come "l’impiego nella preparazione di alimenti con materie prime “non tracciabili”, nella fattispecie di latte, unitamente ad altra individuata come “sicura”, integra la fattispecie di reato (reato previsto dall’art. 5, lett. b, della legge 30 aprile 1962, n. 283).
"Secondo la Suprema Corte", prosegue FiloDiritto, "la suddetta contravvenzione costituisce un tipico reato di pericolo presunto, con anticipazione della soglia di punibilità in ragione della rilevanza del bene-interesse tutelato (la salute umana), tale da prescindere dall’effettivo accertamento di un danno all’oggetto medesimo”.
"Più in particolare", prosegue l'articolo di FiloDiritto, "la Cassazione rileva che nell’ottica di un reato di pericolo volto alla tutela della salute umana, la violazione sistematica (consapevole o colposa) delle disposizioni in tema di tracciabilità della materia prima attiene direttamente all’insorgenza del rischio per il bene stesso e, di conseguenza, alla configurabilità del fumus del reato”.
Per chi voglia approfondire, l'articolo è raggiungibile cliccando qui, mentre l'atto integrale della sentenza, depositato lo scorso 20 luglio 2016 è consultabile da qui
5 settembre 2016