Aflatossine nel latte di Arborea. È accaduto venerdì scorso 2 settembre ma la notizia è trapelata solo tre giorni dopo, quando i quotidiani dell’isola e le agenzie di stampa nazionali l’hanno divulgata, sensibilmente ridimensionata ormai rispetto alle prime voci circolate. La vicenda è così rimbalzata sino ai social network, lasciando increduli molti consumatori. Tutta gente, beninteso, che ha radicata in sé l’idea di un’industria – chissà perché? – migliore delle altre. Forse per la persuasione che scaturisce da un’immagine aziendale che appare sognata, grazie ai delicati disegni e al pay-off “L’isola felice delle mucche”, il cui successo è cresciuto nella distrazione della gente. Che l’isola sia felice o meno, nessuno lo saprà davvero mai, ma che lo siano le vacche – alimentate a silomas – non potrà dirlo, ad onor del vero, più nessuno.
In sostanza, il problema alla base del “caso” Arborea è legato all’insorgenza delle “aflatossine” nelle coltivazioni di cereali. Quelle stesse aflatossine che negli ultimi anni hanno più e più volte colpito allevamenti friulani, veneti, lombardi e piemontesi e che sono legate strettamente ad un’alimentazione a base di silomais, alla coltivazione del mais quindi, e più in particolare ai cambiamenti climatici e alle stagioni calde e e umide che sempre più si susseguono le une alle altre (il fenomeno è allo studio almeno dal 2009). Una questione che si fa tanto più seria quanto più il sistema zootecnico è produttivo e dipendente dall’uso del mais. Per stare sul mercato l’industria punta sui quantitativi, e puntando sui quantitativi anche le percentuali di rischio crescono.
Tornando alla cronaca, il caso – che è deflagrato di venerdì – è già largamente rientrato il lunedì seguente, e questo grazie ai severi controlli che l’azienda sarda abitualmente compie sul latte in arrivo nel proprio stabilimento (l’azienda interviene su soglie minime di 20/ppb di aflatossina M1, laddove la Sanità pubblica prevede un valore-soglia di 50/ppb). La situazione è apparsa da subito circoscritta a sette dei duecentoquaranta allevatori che conferiscono la materia prima. 30mila i litri di latte contaminati sui 500mila che giorno dopo giorno giungono nello stabilimento dell’industria sarda. Un “caso” quindi che in termini percentuali rappresenta il 6% del totale giornaliero; vale a dire lo 0,2% su base mensile. Poteva andare peggio, certo, se la cooperativa non avesse effettuato – come suo solito – i rigorosi autocontrolli che si è imposta. E senza i quali la situazione sarebbe stata ben più critica.
Alle agenzie di stampa il direttore della 3A, Francesco Casula, ha ribadito che «neanche un litro del latte contaminato è stato lavorato e lo smaltimento è stato effettuato dalle stesse aziende» che hanno avuto il problema. Casula ha anche ricordato che «i parametri della 3A sono molto più rigidi di quelli previsti dalla normativa e che la scoperta di partite di latte contaminato in Sardegna è un caso eccezionale», aggiungendo poi (con un po’ poca diplomazia, ndr) «che lo sarebbe molto di meno nella filiera zootecnica della Penisola, e in particolare in quella della Lombardia e del Piemonte».
Al Servizio di Igiene degli Alimenti della Asl 5 di Oristano, intervenuto solo sulla segnalazione dell’industria, è toccato il compito di verifica delle partite di mangime giunte sull’isola e in particolare di quelle acquistate dai sette allevatori coinvolti nel problema. La Asl ha così disposto la sospensione immediata dell’utilizzo del mangime negli allevamenti sottoposti a controllo e la distruzione di tutto il latte “incriminato”.
Al termine delle indagini tecniche sono così finite sotto accusa alcune partite di farina di mais provenienti in larga parte dall’estero. A questo punto non resta che accertare se le partite di mangime siano state contaminate già all’origine o se lo sviluppo delle tossine sia avvenuto in un momento successivo, ad esempio come conseguenza di una loro cattiva conservazione nei silos (o nelle stive delle navi: leggi qui). I primi controlli, hanno permesso di circoscrivere a quindici il numero di aziende da tenere sotto osservazione. Il cambio di alimentazione introdotto nella dieta delle loro bovine dovrebbe aver riportato già tutti i limiti sotto la norma.
A proposito dei controlli sanitari pubblici, il consigliere regionale Marco Tedde (FI) è intervenuto richiedendo che la Giunta Regionale chiarisca in aula la situazione sullo stato dei controlli, come essi siano stati effettuati e se sono avvenute o meno delle omissioni».
12 settembre 2016