
21 settembre 2009 – L’indagine dei Carabinieri dei Nas sulla truffa dei formaggi riciclati è arrivata alla sua conclusione, finalmente, e ora che la Procura di Perugia ha individuato i cinque responsabili dello scandalo dei formaggi legato al marchio Galbani e il meccanismo che alimentava la frode, ci si avvia verso il processo.
A darne notizia, in un panorama mediatico colpevolmente silente, è stato il quotidiano La Repubblica di sabato scorso, 17 settembre, che ha ricostruito il meccanismo messo in atto per riciclare nei piatti di ignari consumatori dei prodotti che avrebbero dovuto finire in discarica.
Gli accusati, spiega il quotidiano, “sono tre dirigenti e due venditori, dipendenti (ormai ex) del deposito perugino di BigLogistica, la società che distribuisce e vende la merce Galbani in Italia”. “I loro nomi”, prosegue il giornale, “figurano nell’atto di chiusura delle indagini firmato dal sostituto procuratore Dario Razzi. Tra gli indagati, ci sono anche i due dipendenti che a ottobre del 2005 fecero scoppiare il caso”. “ll dossier”, continua La Repubblica, “conteneva documenti, fotografie e registrazioni audio. Si faceva riferimento a grossi quantitativi di formaggi e insaccati immessi sul mercato dopo provvidenziali lifting nel deposito perugino (EgidioGalbaniSpa, che produce i formaggi Bel Paese, Certosa, Santa Lucia e Galbanino, fa parte della francese Lactalis, il gruppo caseario numero uno in Europa, già proprietario di altri marchi italiani tra cui Invernizzi e Locatelli).
In pratica, nel deposito umbro la data di scadenza “scaduta” veniva rimossa utilizzando alcol o acetone, dopo di che le etichette fasulle erano pronte per rilanciare sul mercato i prodotti altrimenti invendibili. Le indagini quindi sono riuscite ad accertare che le direttive per taroccare i prodotti arrivavano dai dirigenti della BigLogistica, mentre nessuna diretta responsabilità è per ora stata rilevata a carico dei vertici Galbani.
In questa direzione però pare che voglia muoversi il legale di uno degli indagati, che parla di «alcuni punti poco chiari» e chiede ai giudici una corretta interpretazione delle responsabilità. Tra i quali potrebbe rientrare il tipo di rapporto e il trattamento che legava i dipendenti all’azienda.
“Quella di Perugia”, ricorda La Repubblica, “è la seconda indagine, nel giro di un anno, che vede coinvolto il marchio Galbani, La prima, condotta dalla Guardia di Finanza e coordinata dalle procure di Cremona e Piacenza, portò alla scoperta di un enorme giro di formaggi scaduti e avariati venduti a aziende “riciclone” che poi li rimettevano in commercio. In quel caso precise responsabilità furono accertate a carico di alcuni impiegati degli stabilimenti Galbani di Giussago e Corteolona (Pavia)”.
Per fortuna che La Repubblica c’è.