Non tutti lo sanno, ma il mondo dell'informazione italiana, non gode all'estero di una particolare reputazione. Se si escludono rari casi, enumerabili sulle dita di una mano o forse due, non esistono esempi lampanti di una pubblicistica particolarmente attendibile e rigorosa, in grado di garantire gli interessi del lettore. Fatte salve ancor più rare eccezioni, il giornalismo d'inchiesta, che ha illustri maestri, storia e radici nel mondo di lingua anglosassone (e un cospicuo seguito anche in altri Paesi, tra cui la Francia, ad esempio), da noi è assai sottodimensionato, e la sensazione peggiore è che il lettore medio non ne senta particolarmente la mancanza.
Se si fanno le dovute eccezioni per testate come "Il Salvagente" e "Test" (non stiamo dimenticando "Altro Consumo"; lo escludiamo in piena coscienza, avendo avuto modo di conoscerlo bene), il pur ricco panorama italiano è assai carente di quello spirito investigativo, schierato dalla parte del lettore a cui molti di noi desidererebbero attingere, come l'assetato alla fontana.
I giornali sono evidentemente più orientati a sostenere gli interessi delle aziende (inserzionisti reali, attivi o "riattivabili", inserzionisti potenziali, ndr) verso i quali l'atteggiamento è pressoché sempre di larga disponibilità. Pur esistendo spazi dedicati ai cosiddetti "pubbli-redazionali" (articoli confezionati dalle aziende o per conto delle aziende, e pubblicati sotto lauta ricompensa con dicitura microscopica che ne denuncia la natura promozionale), non sempre facilmente distinguibili dagli articoli di redazione, accade sovente di trovare dei pezzi che pur risentendo pesantemente della "mano del padrone" (scritti da uffici stampa aziendali) vengono inseriti negli spazi della redazione. Spazi che in un modo o nell'altro i lettori pagano e su cui avrebbero il diritto di trovare solo buona informazione, prodotta e scritta nel loro interesse.
La premessa non deve sembrarvi riferita in maniera specifica al caso che vi proponiamo oggi – che acquisisce valenza paradigmatica – ma è estesa a molte situazioni in cui qualsiasi lettore minimamente competente nel campo degli alimenti di origine animale (e della zootecnia che lo sottende, ndr) noterà palesi inesattezze per non dire nulla di peggio.
Non è facile pensare che un colosso del settore (uno che produce quantità smodate di cibo) possa garantire un reale rispetto dei propri animali da latte, tanto da poter parlare di benessere animale. Certo, obietterà qualcuno: un conto è il benessere animale per come esso è inteso dalla legislazione dell'Unione Europea, un conto è il benessere animale garantito da chi garantisce buoni e ottimi regimi alimentari all'animale e una condotta zootecnica irreprensibile. Detto altrimenti e provando a esercitare il sacrosanto diritto al dubbio, come fa a vivere bene un animale che deve produrre tanto latte perché l'industria deve sfornare altrettanti derivati?
Ecco allora che a noi suona strano che un'azienda possa affermare quanto segue (riportiamo tal quale dall'ultimo Panorama), vale a dire che "se una mucca è davvero felice il latte è più buono e abbondante”. A pronunciare la frase sono vertici aziendali della Mondelez International, la società che un tempo si chiamava Kraft (ricordate "cose buone dal mondo"?, ecco, loro!), che oggi detiene il 51% di Fattorie Osella e ha in portafoglio prodotti come Philadelphia e Sottilette.
Nell'articolo (che è raggiungibile da qui) si apprende che le vacche "targate Osella" sono circa 4mila e vivono in trentotto allevamenti (oltre cento capi per ciascuna azienda, tutte in stalla, ovviamente). Vacche che "si rilassano", spiega l'"articolo", "secondo protocollo: sala parto separata dalla stalla, sala infermeria, acqua a volontà, spazio per muoversi e contatto visivo tra e con i vitellini" (capito? hanno il contatto visivo per mamma e vitellini: non è fantastico?)". "Si chiama “rispetto delle 5 libertà” (dalla paura e dal disagio, dolore e malattia, dai bisogni essenziali insoddisfatti e da forzature nel comportamento)", prosegue l'articolo, "che permettono all’animale di vivere secondo la sua natura più vera" (bello, no?).
Per ora le vacche Osella sono tutte al chiuso di una stalla, e ci resteranno per la loro intera vita. Se e quando riusciranno a pascolare di nuovo ("ma dài, no che non serve!" sembra di sentirli…) aggiungeremo la sesta libertà. Per ora non ci pensate, ché la pubblicità non può permettersi di toccare questioni che non hanno una risposta tranquillizzante.
26 settembre 2016