Prima udienza, mercoledì scorso 5 ottobre, a Brescia, per l’ennesima emergenza-aflatossina che ha investito molte realtà produttive legate alla filiera del Grana Padano. Purtroppo, e per quanto questo non sempre emerga dalle cronache, si tratta di una situazione assai poco emergenziale, sempre più grave e cronica, che attanaglia il mondo delle produzioni zootecniche più intensive, da alcuni anni a questa parte (come testimoniato dalle nostre cronache qui, qui e qui).
A finire dinanzi al giudice dell’udienza preliminare Giovanni Pagliuca è stato il primo di un centinaio di indagati (tra cui i titolari di due caseifici e decine di produttori di latte), un allevatore finito nel mirino degli inquirenti per aver conferito alle industrie di trasformazione del Grana Padano (ma anche del Provolone Valpadana e di altri formaggi freschi e semistagionati, ndr) latte contaminato dalle aflatossine, sostanze tra le più cancerogene esistenti al mondo.
L’accusato si è visto contestare dal pubblico ministero Ambrogio Cassiani il reato di adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari e la frode in commercio. Il processo è stato fissato al 21 settembre del 2017. Nelle prossime settimane e sino al febbraio 2017 sono in calendario molte altre udienze che vedranno come imputati altri allevatori, pressoché tutti con i medesimi carichi pendenti.
A costituirsi parti civili, per ora, sono state le associazioni Adiconsum e Legambiente ma non il Consorzio di Tutela del Grana Padano, contrariamente a quanto annunciato in precedenza.
Le aflatossine, sempre più spesso segnalate dal sistema di allerta rapido Rasff (attuato dai Paesi membri dell’Unione Europea per provvedere al ritiro, al richiamo o al sequestro di prodotti rischiosi per la salute), sono prodotti dal metabolismo secondario di alcuni ceppi fungini (aspergillus flavus) che si sviluppano sui cereali, in particolare sul mais, sui semi e sulla frutta secca (arachidi, pistacchi, noci, etc.), ma anche sulle spezie e le granaglie.
“In tutto”, riporta il portale Help Consumatori, “sono state isolati 17 tipi di aflatossine, ma quelle considerate più tossiche sono 5: le aflatossine B1, B2, G1, G2 e l’aflatossina M1, che è un derivato del metabolismo dell’aflatossina B1 da parte di animali alimentati con mangimi contaminati con aflatossina B1. La serie B è quella più tossica. In particolare l’aflatossina B1 è stata inserita dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro nel Gruppo 1 dove rientrano gli agenti cancerogeni per l’uomo”.
Allo scopo di limitare le contaminazioni, l’Istituto Superiore di Sanità ha diffuso un sintetico vademecum che gli agricoltori sono invitati a rispettare:
- non lasciare essiccare il mais in campo, raccogliendo a seconda del mese a livelli di umidità intorno al 25-27%, e comunque non inferiore al 22%
- anticipare la raccolta, diminuendo il tempo di permanenza in campo del mais dopo la maturazione fisiologica
- regolare al meglio la trebbiatrice per ridurre le rotture ed eliminare la maggiore quantità di impurità possibile
- ridurre l’intervallo di tempo tra la raccolta e l’essiccazione
- mantenere l’umidità finale della granella adeguata alla tipologia dell’impianto, alla durata dello stoccaggio ed alle caratteristiche del prodotto in entrata
- eliminare le parti piccole e leggere e le cariossidi spezzate
10 ottobre 2016