Etichetta d’origine: attesa la risposta, ma per i consumatori non cambierà assolutamente nulla

   Alcuni organi di stampa lo hanno denominato "il giorno della verità", ma – a guardar bene – dovrebbe essere chiamato "il giorno della menzogna". O delle verità apparente. Al di là di questa, che comunque rimane la sostanza della cosa, la richiesta del Governo Italiano per una nuova modalità di etichettatura per il settore lattiero-caseario nazionale sta per trovare risposta. Entro il 14 ottobre, scadenza dei novanta giorni previsti dal regolamento comunitario, la Commissione Europea farà conoscere la propria decisione.

In caso di esito positivo, l’Italia sarebbe – dopo la Francia – il secondo Paese Ue ad ottenere il regime di  sperimentazione di due anni per l’etichetta d'origine per il latte e i suoi derivati prodotti sul territorio nazionale. Un'etichetta che – per ventiquattro mesi almeno – diventerebbe così obbligatoria per tutti i produttori.

La richiesta avanzata dall'Italia è in tutto simile a quella francese, la qual cosa ha sinora alimentato le speranze dei favorevoli al "sì". Un esito positivo, tuttavia, non va dato per scontato, in quanto molti Paesi hanno espresso di recente riserve su come la Comunità Europea sta gestendo le varie richieste nazionali di etichettatura in materia di indicazione d'origine obbligatoria per alcune tipologie di alimenti.

Di una cosa siamo certi: se la pressione delle industrie internazionali (e nazionali) gioca a sfavore di questa eventuale novità, la velleità di erigersi a difensori del mondo dei consumi espressa dal nostro Governo e dalle confederazioni agricole (in testa, al solito, la Coldiretti) è del tutto vuota: la gente ha bisogno di sapere "come" un prodotto viene fatto – cosa mangino le bestie, e come vivano – non "dove". Come per il tanto decantato "chilometro zero" siamo di fronte ad uno strumento che getta fumo negli occhi della gente. Senza dare alcuna sostanza.

10 ottobre 2016