Dop: se il marchio è simile il consumatore è ingannato

 Si avvia verso la conclusione, finalmente, la disputa tra il Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana Dop, e un produttore di mozzarelle di bufala (non aderente alla Dop), accusato di condotta ingannevole nei confronti dei consumatori.

Il produttore, di Battipaglia, è stato giudicato colpevole venerdì scorso, in primo grado di giudizio – dopo una vicenda giudiziaria durata sedici anni – per aver utilizzato confezioni con un marchio ed una grafica ritenuti  ingannevoli per il consumatore. Al centro del contendere, i colori utilizzati – il bianco, il rosso e il verde – identici a quelli con cui fu realizzato il marchio del consorzio di tutela.

Il Tribunale di Salerno ha quindi accolto la domanda presentata dall’organismo di tutela della mozzarella Dop contro il produttore, inibendo quest’ultimo dall’utilizzo del contrassegno e ordinandone la rimozione dalle buste e dalle scatole utilizzate per il confezionamento.

Commentando la vicenda, il direttore del consorzio, Pier Maria Saccani, ha sottolineato che «si tratta di un pronunciamento importante, che stabilisce come anche il generico richiamo ai segni grafici delle Dop costituisce un atto di concorrenza sleale».

«La decisione», ha proseguito Saccani, «potrebbe suggerire una strada per tutelare le denominazioni e più in generale i prodotti italiani anche sui mercati esteri, in cui sappiamo che proliferano prodotti contraddistinti da segni grafici che richiamano l’Italia».

Le argomentazioni con cui la sentenza è stata pronunciata fanno rilevare che “…al fine di accertare l’esistenza della fattispecie della confondibilità tra prodotti per imitazione servile, è necessario che la comparazione tra i medesimi avvenga non tanto attraverso un esame analitico e separato dei singoli elementi caratterizzanti, bensì mediante una valutazione di tipo sintetico, ponendosi nell’ottica del consumatore e tenendo conto… che può essere determinata da percezioni di tipo immediato e sollecitazioni di carattere superficialmente sensoriale anziché da dati obiettivi…”.

Più in particolare, va sottolineato che il marchio sulle confezioni non era del tutto simile a quello del Consorzio, ma che – nonostante ciò – lo richiamava fortemente. Per i giudici, che hanno contestualizzato la vicenda andando a valutare lla questione “sul campo” (nei banchi di un supermercato), il marchio era in grado di indurre in errore il consumatore, visto che la scelta di acquistare avviene spesso in modo veloce.

24 ottobre 2016