Occimiano è un paesino di millequattrocento anime, sulla strada tra Casale Monferrato e Alessandria, a cento chilometri esatti da Milano. Il fascino che quei territori del Piemonte esercitano sui milanesi, è assai elevato: il buon vino, una cucina dai connotati schietti e genuini, i paesaggi mai monotoni, e una dimensione agreste che in Lombardia non trovi facilmente, per di più così a portata di mano. Vicine geograficamente, quindi; assai "lontane" negli stili e nella qualità della vita.
Chissà che non sia piaciuto proprio questo a Umberto Signorini, l'imprenditore che giunto alla veneranda età di 75 anni, ha deciso di trasferire là i suoi interessi, le sue finanze, la propria attività (cambiandola però, da consulente aziendale ad allevatore), con propositi altisonanti o per meglio dire un po' chiassosi, se si va a vedere cosa è andato a fare, da quelle parti.
Ma andiamo con ordine: la notizia, che sino ad una settimana fa era rimasta relegata ad alcuni media locali (leggi qui, qui e qui), è approdata martedì scorso sulle pagine del quotidiano La Stampa, e da lì ad una divulgazione nazionale, che dai giornali l'ha vista rimbalzare sui social network. E così si è diffusa velocemente la voce di una mega-stalla da migliaia di capre (Saanen ovviamente in quanto iperproduttive), dell'intenzione di produrre migliaia di tonnellate di latte all'anno. E sì, perché le cifre dichiarate dal sito web della Tenuta San Martino – questo il nome dell'azienda – parlano chiaro: dai 600 capi attuali e dai relativi 1.800 litri al giorno la stalla arriverà ad ospitare 3.500 animali. Che in termini di produzione fa 10.500 litri al giorno, vale a dire 105 quintali, o 10,5 tonnellate. Fate voi i vostri calcoli, ma per quanto vorrete essere magnanimi con il signor Signorini, è evidente che i propositi dell'imprenditore milanese sono fortemente speculativi. E si badi bene: non che si voglia demonizzare chi decida di lucrare, di accumulare denaro, ma qualche dubbio ce lo permettiamo essendo in discussione la salute dell'ambiente, la vita degli animali e, non ultimo, quel che portiamo sulle nostre tavole tutti i giorni.
Il latte, già oggi non poco, viene venduto alla Igor di Cameri (Novara), colosso specializzato nella produzione di Gorgonzola Dop, in grado di coprire l'Italia intera attraverso la Grande Distribuzione Nazionale, realtà che senza colpo ferire può innalzare la produzione anche di dieci volte rispetto ai livelli attuali. Basta che il mercato chieda (e sta chiedendo prodotti di capra) e sarà accontentato. Grazie proprio all'intesa tra le due aziende l'industria novarese ha messo a punto il Blu di Capra, che sta raggiungendo i punti vendita nei tre formati da 4 kg (forma), 500 gr (1/8 di forma) e nella classica confezione da 150 gr.
Sull'alimentazione delle lattifere esistono fior di studi che dimostrano la voragine esistente tra le produzioni estensive (pascolo: la capra tende a non brucare erba, preferendo cespugli e arbusti e bacche) e quelle intensive, in cui gli animali, ben che vada, vengono nutriti a fieno; ma soprattutto a mangimi. Nel nostro piccolo abbiamo comprovato (sul latte vaccino, leggi qui) l'esistenza di un abisso tra le due "filosofie" produttive: quella estensiva (con alimentazione animale principalmente ad erba e fieno), che ha nel suo latte valori molto apprezzabili di grassi polinsaturi, antiossidanti e altre sostanze nutraceutiche, e quella industriale, che ha valori sbilanciatissimi verso i grassi saturi e scarsissima (se non nulla) presenza di nutraceutici.
Superato questo fattore (il mercato è ampio e ci possono stare dentro tanto il blu della Igor con il latte di stalla quanto il formaggio del pastore, venduto in azienda e nei mercatini locali), le preoccupazioni di chi le capre le alleva su piccola scala sono montate attorno ad una domanda, rimbalzata nei gruppi e sulle pagine di Facebook: "Con questi numeri il mercato dei capretti si saturerà ben presto. Come se non bastassero quelli che già arrivano dall'estero, a prezzi sempre più bassi. A chi li venderemo più i nostri capretti, se già si fatica oggi?". Dubbio più che legittimo, certo, a cui solo il futuro potrà rispondere. Al momento, ben che vada, è possibile ipotizzare che i primi ad aver problemi per l'ingresso della San Martino anche in questo settore saranno i commercianti che alimentano il mercato delle terrificanti carovane di capretti dai Paesi dell'Est Europa. Se così dovesse andare, a San Martino andrà il merito di aver interrotto le sofferenze di animali trasportati in condizioni impietose, che giungono nel nostro Paese a volte vivi, altre volte mezzi (se non del tutto) morti.
A far capire, senza alcuna remora, come intende il suo nuovo business, Signorini ci ha messo poco, mettendo subito in chiaro ai giornalisti che lo hanno intervistato le proprie intenzioni: «Sarò un allevatore, non un pastore: c'è una bella differenza», ma anche più di una, aggiungiamo noi. Differenze attorno alle quali non solo i pastori dovranno temere ma anche i consumatori (chi fa quantità non fa qualità, per i motivi poco fa espressi sulle differenze dei latti, ndr) e gli ambientalisti.
Nel progetto dell'azienda c'è infatti l'idea di un'economia definita "circolare", in cui il riutilizzo dei beni è portato al massimo profitto, non solo attraverso un'attività che opera su più fronti (carni e pelli a fine carriera) ma anche e soprattutto ruotando attorno al biodigestore ambientale. Con l'energia generata principalmente dal letame che verrà reimpiegata in loco e rivenduta (ci saranno eccedenze) e il tanto controverso "digestato", contro cui si battono decine di comitati spontanei in varie parti d'Italia (ma non a Occimiano), che verrà riversato sui 400 ettari (di proprietà e in affitto) di territorio di cui la tenuta dispone.
Ad aggiungere timori ai timori è poi l'intenzione – dichiarata sopra le righe dal Signorini – di portare know how ai giovani, a partire da quei dieci sotto i 35 anni che già lavorano in azienda. Di coinvolgerli nel modello produttivo "giusto", in quel che l'agricoltura deve – o meglio dovrebbe, a suo avviso – essere, secondo quello che sino a ieri non era un uomo agricolo, e che in questo modo mai lo sarà davvero, per questa idea di fondo del "business is business" applicato ad ogni pie' sospinto. E che vede l'ambiente, gli animali – e le produzioni che ne derivano – orientate al reddito più alto possibile. Sempre stando nel pieno di regole e normative (mai troppo attente all'ambiente, agli animali, ai consumatori), s'intende, ma sfruttando a suo pro anche quelle.
28 novembre 2016