Che esista un cartello del latte è un’idea di molti da qualche tempo, in Italia; in Sardegna se ne parla da diversi anni – dodici o forse anche tredici – ma nessuno sembra in grado di tirare fuori nomi e cognomi, nemmeno in privato. Non sia mai: senza prove la causa per diffamazione è certa! Dal suo canto, invece chi dovrebbe indagare, se non altro per una mera questione di giustizia sociale e di rispetto delle leggi, pare guardarsi bene dall’idea di spedire i responsabili di tali illeciti sul banco degli imputati.
Tredici anni fa eravamo in Sardegna, con tanti pastori e amici dei pastori, per la manifestazione “Pastores Tenores”, nell’edizione che precedette il riconoscimento di Bene Immateriale dell’Umanità dell’Unesco al canto dei pastori sardi, e già allora si parlava del problema del “cartello del latte”: i pastori non erano soddisfatti di ciò che percepivano dagli industriali. Qualsiasi persona avesse a cuore le sorti del pastoralismo parlava del “cartello”. E della necessità di fare qualcosa contro quel cartello.
Da allora ad oggi poco è cambiato; poco o niente: quando il prezzo del latte ovino va su, nessuno se ne preoccupa, e ora che è in picchiata, ecco tutti pronti ad armarsi – di belle parole – contro i nemici di oggi, che poi sarebbero quelli di ieri. Nemici che nel mezzo hanno pagato il latte anche un euro e più al litro. Qualsiasi fosse il latte (dell’erba o del mangime, poco importa (loro), lo pagavano così, adeguandosi alle leggi del mercato e mai riconoscendo la qualità reale della materia prima (su cui incide molto l’alimentazione animale), inducendo gli allevatori ad allevare sempre peggio.
Nel mentre, su diversi scenari internazionali – in Spagna, Francia, Inghilterra – di industriali e di faccendieri ne sono apparsi tanti davanti alle Corti di Giustizia per quel reato, rimanendo quasi sempre scornati. Qualche condanna e tante e salatissime pene.
All’estero sì, e da noi no. Noi siamo in Italia, e alcuni industriali forse sono più furbi dei loro colleghi stranieri, o forse – chissà – qualcuno tra quelli che dovrebbero controllare e applicare le sanzioni in caso di reato, ha un occhio di riguardo per loro.
La situazione è di nuovo critica, adesso, tant’è che si torna a parlare di cartello, o per meglio dire della necessità di “frenare il cartello del latte”. A farlo è la Coldiretti della Sardegna, che di recente ha invitato i sindaci dell’isola ad un incontro per frenare questo “malcostume”. Un’approccio un po’ blando da parte di chi dovrebbe davvero difendere i produttori, che a parole dice di farlo ma che nel concreto non incide in maniera positiva nella vita dei agricoltori e allevatori.
«L’operazione di trasparenza e legalità che stiamo portando avanti con difficoltà e in un clima surreale», ha dichiarato Luca Saba, direttore di Coldiretti Sardegna, «aveva portato allo sblocco del prezzo del latte, passato dai 50 centesimi di settembre agli 80-85 centesimi di novembre. Ma al mondo della trasformazione non piace la trasparenza dei dati e dei prezzi, perché vorrebbero continuare a bisbigliare il prezzo nell’orecchio dei pastori».
«Impauriti dai nuovi elementi di cambiamento che abbiamo portato sul mercato», ha proseguito Battista Cualbu, che di Coldiretti Sardegna è presidente, «gli industriali stanno reagendo in modo forte e determinato, facendo cartello ed imponendo prezzi impresentabili».
«In questo momento», ha concluso Cualbu, «vista anche l’assenza imbarazzante dell’assessorato regionale all’Agricoltura, riteniamo importante il coinvolgimento dei sindaci, le sentinelle del territorio, la prima interfaccia dei cittadini, per condividere con loro problemi e strategie per il comparto». Un iniziale incontro tra i primi cittadini dei comuni sardi dediti alla pastorizia è avvenuto, due giorni fa, in occasione della festa del Ringraziamento di Nuoro; vedremo sul piano della concretezza se questa pubblica denuncia riuscirà a portare qualche risultato. I presupposti per avviare delle indagini non mancano. Nella speranza che presto sia l’Antitrust ad occuparsene, come accade nelle democrazie estere.
Uno degli obiettivi a medio termine di questa iniziativa sembrebbe quello di inondare la Regione Sardegna di ordini del giorno approvati dai consigli comunali in merito agli interventi necessari per il comparto: da una trasparenza dei dati che permetta una normale contrattazione del latte, all’istituzione di un “consorzio di secondo livello” per aggregare in un unico consorzio – quello del Pecorino Romano – tutte le cooperative che producono quel formaggio. Una strategia che punterebbe ad unire e dare peso proprio ai caseifici delle cooperative – che producono il 60% del Pecorino Romano – consentendo a quella di far valere i propri interessi.
Nel frattempo il quotidiano Barbagia.net, non lontano dalle posizioni della Coldiretti, ha ventilato delle ipotesi che completerebbero il quadro descritto per sommi capi dai due dirigenti dell’associazione di categoria, rivelando che l’attuale crisi del comparto sarebbe stata “governata”, rivelando che “già dal luglio 2015, quando il prezzo del Pecorino Romano viaggiava a prezzi record, i trasformatori per bocca dei rappresentanti dei Fratelli Pinna (il colosso dell’industria lattiero-casearia sarda, ndr), annunciava la prossima crisi. Guarda caso da allora il prezzo del Romano ha cominciato a calare”.
Un prezzo del latte che, riassume Barbagia.net, è stato “abbassato da inizio annata 2015-16, da 1,10 euro a 90 centesimi, nonostante il costo del Pecorino Romano fosse più alto rispetto all’anno prima:
2014: novembre 8,53 – dicembre 8,61;
2015: novembre 8,98 – dicembre 8,90.
E dopo, facendo forza sulle sovrapproduzioni di latte, lo hanno ulteriormente ridotto (aprile 2016) a 80 centesimi”.
“I presagi funesti”, prosegue il quotidiano web barbaricino, “hanno portato il panico nel mercato. A cominciare dalle cooperative, l’anello debole del mondo della trasformazione, come Coldiretti Sardegna ha più volte denunciato: sottocapitalizzate; divise al loro interno; incapaci di mettersi assieme per costruire sistemi più solidi; senza canali commerciali propri o comuni alle stesse cooperative, dunque dipendenti dal sistema industriale”. “E sono loro che, impaurite dalla possibilità di ritrovarsi con il formaggio in giacenza, hanno cominciato ad abbassare il prezzo del pecorino, vendendolo spesso alle industrie di trasformazione privata”.
Barbagia.net, che definisce “un bluff” congruo con gli interessi industriali la voce di un aumento produttivo (era stata fatta circolare voce su un incremento di oltre 130milioni di litri a fine annata 2015: 430 milioni di litri, che nella realtà – sostiene Coldiretti – sarebbero stati meno di 287 milioni), lancia il suo grido d’accusa contro la Regione Sardegna e il suo colpevole silenzio: “Non hanno ritenuto opportuno”, spiega il quotidiano web, “prendere posizione su un bluff che è costato 100 milioni di euro al mercato del Pecorino Romano (il prezzo è passato da circa 9,50-10€/Kg a 6€/Kg), sulla base del quale sono stati chiamati direttamente in causa con una lettera in cui si chiedevano interventi pubblici per decine di milioni di euro”. E “non hanno proferito parola quando a ottobre Coldiretti Sardegna ha lanciato l’allarme dei contratti a 50 centesimi e si continua sulla linea del silenzio, adesso che gli stessi industriali fanno cartello e incuranti dei contratti a 80 e 85 centesimi di novembre, impongono il prezzo sotto i 60 centesimi”.
14 dicembre 2016
Dei contrasti tra Regione Sardegna e Coldiretti Sardegna abbiamo parlato il 7 novembre scorso (clicca qui)
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