Shopping toscano per Arborea: acquisito il latte San Ginese

 La Sardegna del latte è sotto i riflettori dei grandi media nazionali, vuoi per la crisi del latte ovino, che perdura da mesi e in cui la politica sembra non voler trovare una via d’uscita (pur esistendo proposte costruttive: clicca qui), vuoi per gli “incidenti di percorso” di una componente industriale che a volte è sembrata un po’ pasticciona e che mai è riuscita a scrollarsi di dosso i dubbi sull’esistenza di un “cartello” operato per calmierare il costo del latte (ovino, caprino, vaccino) alla stalla.

Una regione che avrebbe dovuto valorizzare maggiormente le produzioni zootecniche, mantenerle il più possibile legate al pascolo (avendone di straordinari e diversissimi tra loro, ndr) e sostenere una qualità (quella dell’erba e del fieno) che invece è venuta via via scemando, con il tempo. Una regione che attraverso un’amministrazione della cosa pubblica non sempre all’altezza (cambiano i governi ma non cambia la musica) si ritrova così in una crisi che non ha precedenti.
Per quanto navighi in acque decisamente meno infauste di quelle dei “cugini” pastori, nell’isola il comparto delle vacche da latte non è che goda di uno status molto dissimile da quello dei colleghi del continente. Con un prezzo del latte attorno ai 35-36 centesimi di euro al litro, c’è chi sopravvive, chi rischia di chiudere, chi si barcamena, debole quanto può essere debole chi è stato condotto a produrre un latte come tanti, proprio perché non sempre e non troppo legato alla propria terra, bensì a mangimi industriali.
A fronte di una situazione mai rosea per chi produce, l’industria invece appare in splendida forma – ennesimo e palese contrasto di una situazione di disparità che non dovrebbe esistere. Il latte al dettaglio viaggia attorno ad 1,50 euro, e quell’euro abbondante che cresce è tutta – o quasi – “ciccia” per chi confeziona e vende. Ma si sa com’è: se il tuo è un latte da mangimi – un latte globalizzato – domani (o a scadenza di contratto, ndr) puoi svegliarti e scoprire che non serve più a chi sempre te lo ha ritirato, per il semplice fatto che ne sono arrivate migliaia di ettolitri con la nave-cisterna a 32 centesimi, dal Paese di Chissàdove.
Fatte queste poco confortanti premesse, ci spostiamo idealmente in provincia di Lucca. In Toscana, certo, dove da quattro giorni a questa parte, in una piccola area di Capannori – quella in cui ha sede la Caplac, che confeziona il latte San Ginese – si è iniziato a parlare sardo.
L’azienda toscana, da tempo in cattive acque – e ormai in liquidazione – è stata acquisita dalla 3A di Latte Arborea, attraverso un’iniziale fase di affitto di tutte le attività di produzione e commercializzazione. Caplac, il cui marchio San Ginese continuerà ad essere utilizzato per il latte e i derivati che sono confezionati nello stabilimento toscano. Il contratto siglato tra le due aziende prevede la riconferma delle maestranze attualmente impiegate nello stabilimento di Capannori, la definizione di un nuovo piano di investimenti tra cui quelli destinati a potenziare la commercializzazione nella regione Toscana, secondo l’adozione del modello cooperativo ormai ben collaudato dalla filiera della 3A.
L’operazione ha altre evidenti finalità, tra cui spiccano la possibilità di sfruttare al meglio i canali di distribuzione esistenti in Toscana anche per la vendita di alcuni prodotti della 3A (240 referenze marchiate Arborea e Fattorie Girau) che completeranno la gamma di Caplac.
6 febbraio 2017