Circondata sinora da una coltre di densa riservatezza, la nascita di FICo Eataly World, la cosiddetta "Fabbrica Italiana Contadina" di Oscar Farinetti pare essere ormai alle porte, tant'è che nei giorni scorsi, avendo ormai preso forma una buona parte delle infrastrutture, il cantiere è stato aperto per alcune ore, ufficialmente dedicate ai bambini, alle scolaresche e ai loro accompagnatori. Ma praticamente volute per una presentazione ufficiosa e, a quanto pare, per sgomberare il campo dalle voci di incertezza che hanno riguardato, negli ultimi tempi, un eventuale slittamento dell'apertura, confermata ora per il prossimo ottobre.
È così quindi che, dopo aver visto crescere l'aspettativa da parte dei media (se ne parla sin dai tempi di Expo 2015), quella che in molti definiscono la Disneyland del cibo italiano, ha lasciato cadere il velo dal cantiere (nelle campagne a nord-est di Bologna, non distante dalla sede Granarolo, dalle Fiere di Bologna e dal polo industriale del capoluogo emiliano), presentandosi ufficiosamente, nonostante i ponteggi, la polvere e le maestranze ancora impegnate negli allestimenti.
La scommessa di Farinetti, come si sa, è quella di far diventare FICo un volano del turismo italiano, uno strumento che – a detta del patron di Eataly – avrebbe la potenzialità di attrarre alcune decine di milioni di visitatori in più all'anno nel nostro Paese. Un convincimento che – per quanto verosimilmente sovraquotato – ha saputo catalizzare l'interesse della Regione Lombardia e del Touring Club Italiano, presenti nei giorni scorsi a FICo rispettivamente con l'assessore al turismo, Roberta Guaineri, e con il presidente Franco Iseppi.
In particolare, il Touring Club ha deciso di allearsi con FICo Eataly World firmando mercoledì scorso un protocollo d'intesa che prevede di far conoscere questo"parco divertimenti" attraverso la propria rete di soci e alcune convenzioni particolari A loro riservate negli otto ettari di attrazioni, che includono due ettari di campi e di stalle, quaranta fabbriche che trasformeranno i prodotti dei campi (è previsto ad esempio che i mulini produrranno sino a quaranta quintali di farina e cereali al giorno, ndr). Ma anche botteghe e mercato, con quaranta luoghi di ristoro previsti, dal carrettino che vende gli arancini al ristorante stellato, oltre a sei aule didattiche che vedranno impegnati docenti di tre Università italiane, a un centro congressi, a un cinema e un teatro.
«L'unica cosa che manca», ha sottolineato Oscar Farinetti, accompagnato dall'amministratore delegato di FICo, Tiziana Primori, «è la meraviglia dei paesaggi italiani, ma facciamo FICo proprio per far venire alla gente voglia di vedere la provincia italiana».
I turisti che annualmente scelgono l'Italia come meta delle loro vacanze sono oltre 50 milioni, e secondo Farinetti il nostro Paese «può permettersi di averne 100 milioni». Fatta la tara alle iperboli comunicative dell'imprenditore piemontese, c'è da sperare che qualche beneficio lo show business Della sua nuova impresa bolognese dovrebbe portarlo, e non solo alle casse aziendali.
Dal canto suo, il presidente del Touring Club Italiano ha sottolineato che «per noi la cultura enogastronomica e agroalimentare dei territori italiani è da sempre un elemento primario dei valori del nostro Paese e uno strumento di formazione del turismo». Evviva.
All'orizzonte qualche gatta da pelare – Se da un canto però le aspettative e gli "evviva" di molti iniziano a farsi sentire concreti, da un altro – un poco in sordina – avanzano i mal di pancia di alcuni operatori che, per qualche distrazione, dimenticanza o causa di forza maggiore già si dicono penalizzati rispetto ad altri. Il caso più eclatante sembra essere quello del Parmigiano Reggiano che non avrà la sua "fabbrica", o caseificio, essendo FICo al di fuori della zona di produzione di quel formaggio. Non una situazione imputabile a Farinetti, certo, ma un oggettivo limite sia per chi si prefigge di mostrare al mondo il meglio, sia per chi – vista la formula "live" dell'impresa, non potrà ottenere il risalto che altri otterranno.
A dare spessore al problema sarà inevitabilmente la presenza della fabbrica del Grana Padano, che – a differenza del Parmigiano Reggiano – ci sarà, in quanto prodotto anche in provincia di Bologna. Un caseificio dimostrativo, quello di cui disporrà il Grana Padano all'interno di FICo, che sarà una vetrina strategica su cui far leva per sottolineare affinità con il Parmigiano Reggiano solo parziali e spesso presunte. Affinità che non vanno molto più in là dell'aspetto esteriore e della tipologia casearia di appartenenza, essendo molto distanti tra loro le due zootecnie alle spalle dei due prodotti, a cominciare dagli insilati di mais su cui il Grana basa l'alimentazione delle bovine, insilati che esclusi nella produzione del Parmigiano, per finire all'uso del lisozima, concesso nel primo e vietato nel secondo.
Particolari che verosimilmente sfuggiranno a molti dei visitatori che il FICo accoglierà, a partire dal prossimo ottobre.
22 maggio 2017