La Val d’Aosta travolta dallo scandalo

La speranza è che stavolta non finisca in una bolla di sapone, come nell’aprile scorso, quando il Tribunale di Aosta assolse i coniugi Clelia e Napoleone Cunéaz, allevatori di Valpelline, dall’accusa di aver ridotto in schiavitù e sequestrato il collaboratore marocchino Ahmed Naghim, immigrato irregolare. Questa volta la questione appare però ancora più seria, visto che supera l’àmbito di un contesto familiare e tocca la salute dei consumatori e il benessere animale.

A finire agli arresti stavolta sono stati tredici dei sessantanove indagati tra allevatori e veterinari, tra cui il titolare d’un caseificio e la proprietaria di un laboratorio di analisi di Carmagnola, unico “attore” non valdostano di questa grave vicenda. Due dei tredici sono stati tradotti nelle carceri di Aosta, mentre per gli altri la restrizione comminata è ai domiciliari. A colpire maggiormente gli operatori del settore, è la presenza tra i responsabli della truffa di Gabriele Viérin (vincitore di premi con la sua Fontina oggi accusata di illeciti, è qui ritratto con una sua Valdostana), presidente dell’Arev, l’Associazione degli allevatori Valdostani (Association Régionale Eleveurs Valdôtains).

Gabriele Vierin

Viérin, che è anche titolare, con Fabrizio Bisson (anch’egli implicato nella vicenda) dell’Azienda Agricola La Borettaz di Gressan, si era aggiudicati l’ultima Bataille des Reines, grazie all’aggressività e alla potenza straordinarie messe in campo dalla sua vacca “Cobra”. Una vittoria che Viérin aveva deciso di ottenere a tutti i costi.

Vincere, nei progetti di Viérin, significava guadagnarsi più onore e rispetto di quello che un presidente di un’associazione allevatori già abbia. Peccato che a pagare il prezzo dei suoi errori adesso ci sia tutto il mondo allevatoriale valdostano, e che la vicenda rischi di travolgere come un fiume in piena l’immagine dell’intero comparto caseario regionale, Fontina in testa.

Le Batailles des Reines, riservate alle vacche di razza Valdostana Pezzata Nera-Castana, sono competizioni radicate nella cultura locale, molto sentite e seguite, soprattutto tra gli allevatori e le loro famiglie, in una regione in cui, occhio e croce, se non sei allevatore hai un allevatore parente o amico.

Le bestie, massicce e potenti come poche altre (arrivano a pesare oltre 800kg e sono caratterizzate da fronte ampia, corna e muscolatura possenti), si fronteggiano due alla volta in un fazzoletto di terra, che ha il valore del territorio da conquistare, e si affrontano, testa a testa, sino alla resa di una delle due. I combattimenti, che in natura avvengono spontaneamente durante la salita in alpeggio, o nella permanenza al pascolo, sono organizzati in varie località della regione (le qualificazioni) dall’Association Régionale Amis Batailles de Reines mediante concorsi pubblici a eliminazione diretta, e permettono alle vincitrici di accedere alla finale, ospitata nello stadio di Aosta.

Fontina contraffatta e truffa ai danni della Regione (ma non solo…)
Tornando alla vicenda, i tredici sono accusati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni della Regione Valle d’Aosta (calcolata tra i 350mila e i 450mila euro nel solo 2008), maltrattamento e uccisione di animali, abusivo esercizio di professione e frode in commercio, oltre ad altri reati minori contestati in centoventitre pagine di ordinanza dal Gip di Aosta Maurizio D’Abrusco su richiesta del Pm Pasquale Longarini.

I provvedimenti, notificati dai Nas dei Carabinieri e dalla Guardia Forestale dello Stato, riguardano la mancata comunicazione di capi infetti per mantenere indenni gli allevamenti, l’acquisto di foraggio non valdostano per produrre latte destinato alla produzione di Fontina, il maltrattamento e l’uccisione di animali (quando risultavano infetti), la vendita di Fontina contraffatta (interessante notare che l’azienda di Viérin si era aggiudicata nel 2003 uno dei massimi premi all’Olimpiade dei Formaggi di Montagna).

Nell’ordinanza è poi sottolineata “la fecondazione di animali con seme non autoctono proveniente dalla Svizzera” (utilizzato per ottenere capi più aggressivi da destinare alle gare) e “l’approdo diretto di bovini svizzeri negli allevamenti valdostani”.

I due truffatori che non hanno potuto usufruire degli arresti domiciliari e che quindi sono reclusi in carcere sono l’allevatore A. C. di 37 anni, di Jovencan, e il titolare del caseificio di Gignod,  E. D., di 53 anni, accusati di aver prodotto Fontina con latte di una stalla infetta da Tbc.

Dalle indagini, condotte dal Corpo Forestale della Valle d’Aosta e dai Nas e coordinate dal pm Pasquale Longarini, è emerso tra l’altro che l’azienda agricola Cabraz, di Jovençan, nonostante avesse la stalla bloccata in quanto alcune bovine erano risultate malate, ha continuato a produrre la Fontina Dop. Quando non ha più potuto trasformare direttamente, ha ceduto il latte al caseificio Duclos che lo miscelava con quello proveniente da altri conferimenti per la produzione del formaggio tipico valdostano. La Fontina veniva poi immessa sul mercato. 

Secondo l’accusa, inoltre, Duclos avrebbe venduto dello zangolato, un burro grezzo che potenzialmente contiene un’alta carica batteriologica, per burro di panna pastorizzato. In alcuni supermercati valdostani gli agenti del Corpo Forestale dello Stato hanno sequestrato alcune Fontine cosiddette “rosse” (sempre di produzione del caseificio di Duclos) che non avrebbero dovuto essere commercializzate in quanto contenenti colostro.

«Invece di far sopprimere gli animali malati in stalle dove erano già stati identificati bovini affetti da tubercolosi», spiega il procuratore capo di Aosta, Marilinda Mineccia, «alcuni allevatori si affidavano ad una struttura compiacente (sita in Carmagnola, ndr) per spostare il bolo di riconoscimento su animali sani, oppure li facevano macellare, senza rinunciare però ai contributi europei distribuiti attraverso la Regione. Anche per quanto riguarda il latte, in certi casi veniva dichiarato che sarebbe stato utilizzato solo per l’alimentazione delle vacche. Il latte che doveva restare fuori commercio veniva invece mescolato ad altro latte per la produzione di formaggi: tra allevatori e caseificatori c’era anche un legame familiare. In diversi casi, per fortuna, i commercianti si sono accorti di una cattiva conservazione dei prodotti e li hanno rimandati indietro senza venderli».

13 novembre 2009