Bufala campana: il mercato è in subbuglio

Per chi è vicino al settore della mozzarella di bufala campana era il segreto di pulcinella. Molta, moltissima mozzarella di bufala campana è prodotta da tempo anche con latte vaccino, soprattutto in estate, quando la richiesta sale e la produttività delle bufale scende. Troppo evidente al gusto in tante degustazioni e, per chi non si accontentasse del solo riscontro del palato, troppo divario tra i livelli di produzione di latte bufalino e quelli di mozzarella in commercio.

A una settimana di distanza dall’ennesimo “caso mozzarella di bufala”, l’elemento che emerge in maniera più forte e preoccupante è legato alla ripercussione che le vendite subiranno a seguito della tanta attività mediatica. Come per il Brunello di Montalcino, molta gente si ferma ai titoli e si allontana dal prodotto, tanto che il contraccolpo per il settore è stimato già in ventimila posti di lavoro a rischio.

Messo a fuoco questo aspetto della questione, il ministro Zaia si è preoccupato di precisare in questi giorni che «il prodotto è sicuro» e «bisogna continuare a consumarlo» perché «si tratta di una semplice frode commerciale». Ma tant’è che Zaia con la sua “tolleranza zero” stavolta ha attirato su di sé diverse insinuazioni, non tutte velate, come quella – autorevolissima – del professor Luigi Zicarelli, preside della Facoltà di Veterinaria a Napoli, che non ci ha pensato su più di tanto ad accusarlo di operare a favore del nord, delegittimando platealmente la mozzarella campana a favore dei produttori piemontesi, lombardi e – soprattutto – veneti. Le elezioni regionali si avvicinano, e la lettura del docente universitario (a cui Zaia ha preannunciato che adirà le vie legali, ndr), ancorché da dimostrare, risulterebbe quantomeno plausibile.

Ma, posti di lavoro a parte, quale futuro si prospetta ora per il latticino più famoso del mondo? Secondo Raffaele Ambrosca, presidente della Lab (Lega Allevatori Bufalini) è fondamentale che si garantisca il legame tra produzione di Mozzarella di Bufala Campana Dop e materia prima utilizzata. «Per questo», dice Ambrosca, «sull’involucro del prodotto andrà specificato non solo il nome del caseificio ma anche la stalla dalla quale il latte proviene».

Un intervento, quello suggerito dalla Lab, che si spera possa trovare applicabilità tra qualche mese se, a seguito del commissariamento, si dovesse avviare una vera ripartenza, con l’auspicabile azzeramento dei poteri forti casertani e con la rifondazione di un nuovo consorzio, in cui le varie realtà aderenti possano avere tutte voce in capitolo, ma anche un consorzio che sarà più autorevole e credibile se saprà privarsi delle funzioni di autocontrollo che non garantiscono né i produttori onesti né tanto meno i consumatori.

In attesa che la task force ministeriale si insedi nella sede del consorzio per avviare la necessaria (e speriamo impietosa, ndr) opera di bonifica dal malaffare, le realtà non casertane si esprimono proponendo vecchie e nuove e anche originali vie da seguire. Mentre nel frusinate prevale il compiacimento per l’operazione ministeriale e si auspica un futuro più trasparente ed equo per tutti i produttori, nonché la necessità di ridare credibilità a tutto il settore (con un sistema di controllo lontano dal “palazzo”, ndr), dalla provincia di Salerno giunge notizia che il controllo operato nei giorni scorsi su sessantadue caseifici ha evidenziato che nessuno di essi è stato trovato a operare fuori dalle norme del disciplinare.

«Tutte le mozzarelle analizzate sono risultate prodotte con solo latte bufalino», ha assicurato il responsabile dell’Unità Operativa Veterinaria di Eboli Luigi Morena. Quel che dovrebbe essere la regola, in un contesto di diffusa delegittimazione, offre ai salernitani (il consigliere regionale Ugo Carpinelli in testa) lo spunto per riproporre la nascita di una distinta realtà bufalina di quella provincia, a garanzia del consumatore e nel pieno rispetto delle tradizioni e dei metodi produttivi previsti.

Nel frattempo appare però più che inquietante e aggiunge preoccupazioni a preoccupazioni quanto pubblicato – e da nessuno smentito – dal quotidiano Il Mattino del 20 gennaio, a proposito degli enormi interessi che i clan dei Casalesi hanno costituito impiantando in Romania attività di allevamento bufalino.

L’articolo, firmato da Rosaria Capacchione e intitolato “Le mani della camorra e il siero congelato che arriva dall’Est” (laddove appare evidente l’errore di chi confonde siero con cagliata, ndr), racconta dei traffici illegali e dei profitti miliardari della più potente famiglia camorrista del casertano, sostenuta da legami con la politica e detentrice di estesi interessi – tra gli altri – nei settori dell’allevamento bufalino, dell’agricoltura ad esso asservita, dello smaltimento di rifiuti (sversati nelle stesse aree agricole), e della produzione di mozzarelle alla diossina.

“Incomprensibile”, racconta il pezzo, “la posizione assunta all’interno del Consorzio e nell’associazione allevatori dal titolari di alcuni caseifici, cinque dei quali di notevole importanza, che nei mesi scorsi avevano chiesto formalmente di riaprire la pratica dop e far comprendere nel disciplinare anche il latte rumeno”.

“Si tratta di aziende”, prosegue la Capacchione, “che hanno destinato buona parte della loro produzione alla grande distribuzione. Uno dei gestori è stato, in passato, coinvolto in paio di inchieste di camorra e condannato per aver fornito un alibi, falso, a un boss. Un altro dei produttori, la scorsa estate, era stato denunciato dal Nas: i militari avevano trovato un grosso quantitativo di mozzarella esposta al sole perché si scongelasse. Era pasta semilavorata, inutile a dirsi proveniente dalla Romania”.

Quel che più colpisce, assieme a quanto riportato dal quotidiano partenopeo, è che a distanza di sette giorni da questa denuncia nessun altro organo di stampa abbia accennato a questo clamoroso aspetto della vicenda.

Chi voglia leggere l’articolo “Le mani della camorra e il siero congelato che arriva dall’Est”, pubblicato dal Mattino del 20 gennaio scorso, può scaricarlo in formato pdf cliccando qui

27 gennaio 2010